sabato 12 marzo 2011
0.03.14
Succede più o meno a tre minuti e quattordici secondi dall'inizio del pezzo. Il pezzo è quello che dice che è la fine del mondo come noi lo conosciamo (e io sto bene). In quel preciso momento, dopo un bucolico coro ipnotico, riparte l'elettrica e ci si prepara a saltare per il finale a rotta di collo. Credo sia lì che ci sono cascato. Era il1987, facevo il militare e Radio Tartaro mandava anche l'altra canzone, quella che va a colei/colui che amo. Con perfetto tempismo (e anche un po' in ritardo) scoprii uno dei miei gruppi di riferimento per i secoli a venire, quei marpioni dei R.E.M. da Athens, Ga. Da lì in poi ho imparato a memoria i vecchi classici, goduto dei momenti del successo planetario e sopportato con pazienza il lento ma inesorabile declino. Ora è fuori il nuovo disco, che nulla aggiunge e nulla toglie (il penultimo mi era piaciuto di più) ed è il solito momento di riflessione sul tempo che passa. Ricordo quando a Bologna tirarono fuori la cover di Syd Barrett a gettare un insperato ponte tra vecchio e nuovo, quando dovunque andavi sentivi dalle autoradio la canzone col mandolino, l'iniziale delusione quando uscì il disco automatico che si tramutò ben presto in stupore tra mille scuse a capo chino, l'ultimo concerto (ancora Bologna) prima che Bill Berry stesse male e il suo susseguente abbandono due anni più tardi, il cane a tre zampe che ha sempre stentato nonostante i bei concerti (altri due a Bologna) e la fine del mondo sempre più vicina. Sarà il latrato di Michael Stipe, saranno i coretti da chierichetto di Mike Mills, sarà quel mucchio di canzoni penetrate oramai sottopelle, saranno le cover senza vergogna, saranno i dinosauri sull'ampli di Peter Buck, sarà quel che sarà... ma io continuo a stare bene.
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