venerdì 6 aprile 2018

Una parpaia c'la vola










 


Ho fatto un sogno stranissimo. Tutti i sogni sono stranissimi, se uno ci pensa. Questo però è nei primi dieci, mi sa. Fa conto: un gruppo di persone che canta Tot u m'arcorda te ("una parpaia c'la vola...") davanti ad un pubblico consenziente e partecipante, a conclusione di una serata dedicata al dialetto romagnolo. In ordine sparso: Luisa Cottifogli, Bonetti, Quinzan, Pulgròs, Teto, il fine dicitore Bellosi, Valentino dei Koppertoni, i Parmiani, Savini, Renzo Bertaccini, Gnelez, il professor Cantoni, Andrea dei Kriminal Tango, Pozzi in incognito e (ma dai) i Jean Fabry.
Tutti questi nomi mi dicono qualcosa, una bella insalata mista di rimembranze e premonizioni nel nome di una lingua in fin di vita, quella che parlavano i miei nonni e i loro amici quando si infilavano nel cortile annunciando il loro arrivo con urla belluine colme di gutturali e accenti di ogni colore. Non mi interessa la tradizione, mi spiace solo dover salutare per sempre una serie di espressioni gergali fulminanti  che avrebbero tanto da insegnare a chi volesse imparare qualcosa. I linguaggi nascono e muoiono, cambiano forma, senso, valore. At salut, dialétt. Chevat da lé e fala poca longa!