martedì 24 ottobre 2023

Chiedi ai CCCP se non sai come si fa


 

 

 

 

 

 

 



             Nella vita le cose cambiano. Con l'avanzare degli anni, le infinite possibilità della gioventù diminuiscono di giorno in giorno e quindi tocca rivedere le priorità, ottimizzare le energie, riformulare gli obiettivi. Bene: al netto di questo bel mucchio di ovvietà, mi trovo nella condizione di poter finalmente dire di avere visto dal vivo i CCCP. Questo significa almeno due cose: la prima è che devo essere grato a madre natura per avermi permesso di conseguire un risultato che era sfuggito al me stesso giovine, la seconda è che i CCCP ci sono ancora. In realtà, come tutte le espressioni culturali di una certa importanza, non se ne erano mai andati: sono sempre stati parte del discorso, dell'immaginario, di una seppur limitata condivisione collettiva. Ecco, proprio la relativa limitatezza della loro popolarità (sempre all'interno della cerchia di appassionati "alternativi", reduci dell'epoca, fans sfegatati) conferisce notevole rilevanza alla loro resurrezione in carne ed ossa, sia come protagonisti della mostra Felicitazioni! ai Chiostri di San Pietro (Reggio Emilia) sia come rianimatori del loro spettacolo visivo e sonoro al Teatro Valli (sempre Reggio - e dove se no?). Chissà che questa bella esposizione mediatica nell'era socialista - pardon, nell'era social - non allarghi la platea degli ammiratori. Il mio big bang personale fu quando nel cuore degli anni ottanta Pappi me li fece scoprire una sera in macchina: Mi ami?, Emilia Paranoica, Spara Jurij, Valium Tavor Serenase. Roba aliena al mio percorso di musicofilo volto soprattutto alla scoperta del mondo angloamericano, dal rock delle origini all'indie più recente. Però sottopelle i CCCP lavorarono a dovere, fino all'inevitabile epifania: un dì compresi che si poteva (e forse si doveva) fare anche DA NOI, non solo a Londra o New York. Dar vita ad un universo espressivo legato al proprio mondo reale e non solo qualcosa di importato, buono più che altro per essere mitizzato ma mai sperimentato in presa diretta. Questo portò alla nascita della nostra piccola esperienza creativa, quei Jean Fabry che come minimo sono stati "terapeutici" durante tutti questi lunghi anni. Col tempo ho capito il valore del focalizzarsi sulle realtà locali in quanto possibilità di interpretazione dell'esistente più vicino, siano esse musica, teatro, letteratura, arti figurative e via dicendo. In tutto questo il "successo" c'entra fino a un certo punto e se proprio di successo si volesse parlare, sarebbe il benvenuto quello in grado di trasmettere in modo efficace, mettere in relazione, stimolare curiosità, far desiderare conoscenza da poter spendere nella vita di tutti i giorni. Il mondo dei CCCP è al tempo stesso vastissimo e a chilometri zero: il megafono punk da periferia dell'impero (quale?), l'ambivalenza dell'Emilia signora/operaia e colta/popolare, il telegiornale pre-apocalittico con le guerre fuori e dentro di noi, la commedia dell'arte nelle discariche, la donna immagine e la donna che immagina. Non vanno idolatrati, i CCCP: semmai va valorizzato il loro lavoro e quello di tutti coloro che si sono spesi e si spendono quotidianamente seguendo coordinate similari (cantando canzoni o - chessò - costruendo mongolfiere) nella speranza di comprendere questo incomprensibile universo nel quale - apparentemente - esistiamo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                     Reggio Emilia, 22 ottobre 2023 (foto Marlo)

domenica 8 ottobre 2023

Questa terra spalata

Il giorno 29 settembre dell'anno 2023 si è tenuto a Russi (RA) "Questa terra spalata", un piccolo benefit fatto-in-casa pro-alluvionati. Bella serata e buon risultato. Dal punto di vista personale, il piacere di essere tornato a fare cose con l'Ing. Ragazzini, con cui abbiamo rispolverato il modus operandi dell'antico spettacolo Linguáza: classici pezzi angloamericani virati sul romagnolo ma con un retrogusto nerd. Nello specifico, i bersagli sono stati due pezzi Beatles: I saw her standing there / Lì l'a s'è farmeda aqué, inno al "camerone" (e camarôn, luogo in cui i nostri avi si ritrovavano per ballare e - ovviamente - abbordare) e Ticket to ride / La ciapa sò e su trent'ôn (inno all'autodeterminazione femminile in campo relazionale, cosa rara ai tempi che furono e - ahimè - pure al giorno d'oggi). Il risultato delle riletture è stato molto divertente per chi si è esibito e direi anche per chi assisteva, tanto che è riemersa la voglia di misurarsi nuovamente con un intero spettacolo in vernacolo, cosa che ho sempre vissuto con ambivalenza per il rischio insito di ridicolizzare una lingua popolare - pressoché morta, peraltro - relegandola al ruolo di idioma per non acculturati. Ora, siccome questa cosa non è vera e noi (Jean Fabry / versione famiglia allargata) siamo sempre stati inclini a voler dimostrare cose per le quali nessuno abbia mai chiesto una dimostrazione, probabilmente alla prima buona occasione ci riproveremo. Bên, bên, bên!