sabato 30 dicembre 2023

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Non so cosa abbia visto il nostro gufo ma so cosa ho sentito io quest'anno: ecco venti album dalla a alla z.

Bas Jan - Back To The Swamp
Baustelle - Elvis
Black Country, New Road - Live At Bush Hall
Blur - The Ballad Of Darren
Boygenius - The Record + The Rest
ĠENN - unum
PJ Harvey - I Inside The Old Year Dying
Kristin Hersh - Clear Pond Road
Don Letts - Outta Sync
Madame - L'Amore
Angeline Morrison - The Sorrow Songs-Folk Songs of Black British Experience
Billy Nomates - Cacti
Pere Ubu - Trouble On Big Beat street
Caroline Polachek - Desire, I Want To Turn Into You
Olivia Rodrigo - GUTS
Paul Simon - Seven Psalms
Sleaford Mods - UK GRIM
Sufjan Stevens - Javelin
The Bad Ends - The Power And The Glory
Yo La Tengo - This Stupid World

E tre singoli.

Billie Eilish - What Was I Made For
The Beatles - Now And Then
Underworld - Denver Luna

E basta,ciao.

giovedì 30 novembre 2023

Let me go, boys

Mescolare il folk irlandese al punk. Adesso è una cosa scontata, ma quando arrivarono i Pogues per molti di noi fu proprio un'epifania. Il becero luogo comune irlandesi-musica-alcool-casino si sparse ulteriormente nel globo terracqueo, ma chi se ne frega: io ci trovai solo un grande gruppo e delle grandi canzoni. Le grandi canzoni le scriveva un tizio con pochi denti ma storti e la voce del demonio: Shane MacGowan. Oggi, trenta novembre duemilaeventitre, Shane ha lasciato questa dimensione dopo che per almeno trent'anni lo si è costantemente dato per moribondo a causa dei suoi ripetuti eccessi. Non so cosa dire, la gente muore e gli omaggi postumi lasciano sempre il tempo che trovano, ma Shane è stato molto importante per me e per tante altre persone quindi un ricordo ci sta eccome. Ho avuto la fortuna di vederlo dal vivo almeno tre volte e finchè campo ascolterò con piacere ogni tanto la sua voce. Quando da Muzak ascoltai per la prima volta If i should fall from grace with god aggiunsi un altro bel mattoncino nel muro della mia (mal) educazione culturale. Quest'uomo ha scritto - tra le altre - una delle più belle canzoni di tutti i tempi ed è stato un esempio di creatività espressiva fuori dal comune, anche senza conoscerlo di persona era facile volergli bene. Poeta è ormai una parolaccia ma in questo caso si potrebbe usare senza apparire banali. At salut, Shane.

If I should fall from grace with God
Where no doctor can relieve me
If I'm buried 'neath the sod
But the angels won't receive me

Let me go, boys
Let me go, boys
Let me go down in the mud
Where the rivers all run dry

This land was always ours
Was the proud land of our fathers
It belongs to us and them
Not to any of the others

Let them go, boys
Let them go, boys
Let them go down in the mud
Where the rivers all run dry

Bury me at sea
Where no murdered ghost can haunt me
If I rock upon the waves
No corpse shall lie upon me

It's coming up threes, boys
Keeps coming up threes, boys
Let them go down in the mud
Where the rivers all run dry

If I should fall from grace with God
Where no doctor can relieve me
If I'm buried 'neath the sod
So the angels won't receive me

Let me go, boys
Let me go, boys
Let me go down in the mud
Where the rivers all run dry

sabato 18 novembre 2023

Linguàza (o giù di lì)

E così, l'occasione per una serata tutta in dialetto è veramente arrivata. Lo storico Gabbiano di Conselice (dove in gioventù Pappi e Marlo ballavano la gnù vueiv) ha riaperto i battenti post-alluvione nella giornata di San Martino in versione "osteria romagnola" e i Jean Fabry (con tanto di Giulio alle pelli e Gnelez al coaching motivazionale) si sono esibiti in una sorta di Linguàza (o giù di lì) rispolverando per l'occasione svariate versioni in vernacolo di brani angloamericani di chiara fama. Pubblico ai tavoli come in una sorta di Festa Dell'Unità fuori tempo massimo, palco diviso con Cico dét e bèl & Mary Grace, service a cura di Gianlorenzo dei Reverse e Dagmar, facce conosciute e non, applausi, sbigottimento, acustica da sala da ballo, Gramadora a sorpresa e sabadoni per finire. Pensiero conclusivo: questo è stato per la Romagna un anno particolare ed è stato importante stringersi attorno alle tradizioni ma purtroppo le rogne non si accaniscono solo nella terra di liscio e piadina: la mattina dopo i volontari conselicesi sono andati nella Toscana a sua volta flagellata dalle alluvioni a ricambiare l'aiuto ricevuto in primavera. E il discorso si potrebbe allargare alle mille criticità vicine e lontane, naturali e non. Teniamo botta, tutti quanti.

martedì 24 ottobre 2023

Chiedi ai CCCP se non sai come si fa


 

 

 

 

 

 

 



             Nella vita le cose cambiano. Con l'avanzare degli anni, le infinite possibilità della gioventù diminuiscono di giorno in giorno e quindi tocca rivedere le priorità, ottimizzare le energie, riformulare gli obiettivi. Bene: al netto di questo bel mucchio di ovvietà, mi trovo nella condizione di poter finalmente dire di avere visto dal vivo i CCCP. Questo significa almeno due cose: la prima è che devo essere grato a madre natura per avermi permesso di conseguire un risultato che era sfuggito al me stesso giovine, la seconda è che i CCCP ci sono ancora. In realtà, come tutte le espressioni culturali di una certa importanza, non se ne erano mai andati: sono sempre stati parte del discorso, dell'immaginario, di una seppur limitata condivisione collettiva. Ecco, proprio la relativa limitatezza della loro popolarità (sempre all'interno della cerchia di appassionati "alternativi", reduci dell'epoca, fans sfegatati) conferisce notevole rilevanza alla loro resurrezione in carne ed ossa, sia come protagonisti della mostra Felicitazioni! ai Chiostri di San Pietro (Reggio Emilia) sia come rianimatori del loro spettacolo visivo e sonoro al Teatro Valli (sempre Reggio - e dove se no?). Chissà che questa bella esposizione mediatica nell'era socialista - pardon, nell'era social - non allarghi la platea degli ammiratori. Il mio big bang personale fu quando nel cuore degli anni ottanta Pappi me li fece scoprire una sera in macchina: Mi ami?, Emilia Paranoica, Spara Jurij, Valium Tavor Serenase. Roba aliena al mio percorso di musicofilo volto soprattutto alla scoperta del mondo angloamericano, dal rock delle origini all'indie più recente. Però sottopelle i CCCP lavorarono a dovere, fino all'inevitabile epifania: un dì compresi che si poteva (e forse si doveva) fare anche DA NOI, non solo a Londra o New York. Dar vita ad un universo espressivo legato al proprio mondo reale e non solo qualcosa di importato, buono più che altro per essere mitizzato ma mai sperimentato in presa diretta. Questo portò alla nascita della nostra piccola esperienza creativa, quei Jean Fabry che come minimo sono stati "terapeutici" durante tutti questi lunghi anni. Col tempo ho capito il valore del focalizzarsi sulle realtà locali in quanto possibilità di interpretazione dell'esistente più vicino, siano esse musica, teatro, letteratura, arti figurative e via dicendo. In tutto questo il "successo" c'entra fino a un certo punto e se proprio di successo si volesse parlare, sarebbe il benvenuto quello in grado di trasmettere in modo efficace, mettere in relazione, stimolare curiosità, far desiderare conoscenza da poter spendere nella vita di tutti i giorni. Il mondo dei CCCP è al tempo stesso vastissimo e a chilometri zero: il megafono punk da periferia dell'impero (quale?), l'ambivalenza dell'Emilia signora/operaia e colta/popolare, il telegiornale pre-apocalittico con le guerre fuori e dentro di noi, la commedia dell'arte nelle discariche, la donna immagine e la donna che immagina. Non vanno idolatrati, i CCCP: semmai va valorizzato il loro lavoro e quello di tutti coloro che si sono spesi e si spendono quotidianamente seguendo coordinate similari (cantando canzoni o - chessò - costruendo mongolfiere) nella speranza di comprendere questo incomprensibile universo nel quale - apparentemente - esistiamo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                     Reggio Emilia, 22 ottobre 2023 (foto Marlo)

domenica 8 ottobre 2023

Questa terra spalata

Il giorno 29 settembre dell'anno 2023 si è tenuto a Russi (RA) "Questa terra spalata", un piccolo benefit fatto-in-casa pro-alluvionati. Bella serata e buon risultato. Dal punto di vista personale, il piacere di essere tornato a fare cose con l'Ing. Ragazzini, con cui abbiamo rispolverato il modus operandi dell'antico spettacolo Linguáza: classici pezzi angloamericani virati sul romagnolo ma con un retrogusto nerd. Nello specifico, i bersagli sono stati due pezzi Beatles: I saw her standing there / Lì l'a s'è farmeda aqué, inno al "camerone" (e camarôn, luogo in cui i nostri avi si ritrovavano per ballare e - ovviamente - abbordare) e Ticket to ride / La ciapa sò e su trent'ôn (inno all'autodeterminazione femminile in campo relazionale, cosa rara ai tempi che furono e - ahimè - pure al giorno d'oggi). Il risultato delle riletture è stato molto divertente per chi si è esibito e direi anche per chi assisteva, tanto che è riemersa la voglia di misurarsi nuovamente con un intero spettacolo in vernacolo, cosa che ho sempre vissuto con ambivalenza per il rischio insito di ridicolizzare una lingua popolare - pressoché morta, peraltro - relegandola al ruolo di idioma per non acculturati. Ora, siccome questa cosa non è vera e noi (Jean Fabry / versione famiglia allargata) siamo sempre stati inclini a voler dimostrare cose per le quali nessuno abbia mai chiesto una dimostrazione, probabilmente alla prima buona occasione ci riproveremo. Bên, bên, bên!



domenica 10 settembre 2023

Il vuoto, il nulla e il punk mentale

L'osservatore determina la realtà. Questo è uno dei fondamenti della fisica quantistica che, al momento in cui scrivo (e già qui i quantistici avrebbero da dire un paio di cosette) è ancora una scienza che sconfina sovente nel paradosso e nell'inconcepibile. A proposito di inconcepibile: il nostro amico fisico Tiziano Cantalupi ha pubblicato assieme al filosofo Filippo Onoranti il libro "La nascita dell'universo dal nulla" e l'altra sera a Forlì, durante una delle loro svariate serate di presentazione, si sono esibiti i Jean Fabry. Mi spiego meglio: non è che mentre loro due presentavano il libro noi stessimo suonando da un'altra parte a Forlì: no, noi fungevamo da intermezzo "musicale" proprio all'interno del loro evento. In pratica Claudio Molinari, che da quando è in pensione (a mie spese) si ritrova un mucchio di tempo libero, si è autoinvitato (tirandoci ovviamente in ballo) interfacciandosi direttamente con l'organizzatore, il vulcanico libraio Giunchi. Ne è risultata un'avventura divertente e surreale durante la quale si è passati da disquisizioni sulla differenza fra vuoto e nulla a canzoncine sbilenche su rotoballe e centri commerciali. Pare che il pubblico abbia gradito e che comunque, in quanto osservatore, abbia determinato ciò che è accaduto. Quindi la colpa è degli spettatori. E io li ringrazio perchè per l'ennesima volta siamo riusciti ad andare contro la logica, il buon senso e forse anche contro la grande tavana che ci sta intorpidendo da tempo immemore il corpo e lo spirito.

venerdì 18 agosto 2023

Seamus e i libri dimenticati

È risaputo che la mia generazione ha sempre avuto un debole per l'Irlanda (o meglio Éire, tanto per cominciare subito a fare gli snob) e non sarò certo io a smentire la questione. Per quanto mi riguarda, gran parte dell'appeal è sempre stato legato alla musica popolare suonata da quelle parti, in egual misura caciarona, epica e malinconica. Come tanti, in gioventù ho fatto una sorta di viaggio a ritroso partendo dal folk american-dylaniano... riportando tutto a casa (mi scuso per la banalità). Sul finire degli anni ottanta - inizio novanta la mia sezione di ascolti Irish andava dai Planxty (comprai il primo album a scatola chiusa senza avere idea di chi fossero - alla faccia della fortuna degli irlandesi!) ai Pogues (una delle entità creative che mi hanno cambiato la vita) con tutto quello che c'era nel mezzo. Grazie all'associazione Tratti sono persino riuscito a vedere a Faenza sia i Dubliners che i Chieftains! E vabbè, poi Bubola e la Mannoia han fatto una specie di canzone-cartolina, sono arrivati i Modena City Ramblers (praticamente i Nomadi senza Guccini ma con violino-fisarmonica-birra d'ordinanza) e siamo addirittura arrivati ad una specie di penoso scontro politico-culturale per appropriarsi di tutto ciò che aveva un vago sentore di celtico. In casa mia è arrivata finalmente una guida turistica (cartacea!) dell'Irlanda con l'intenzione di usarla in loco e poi... puf! Son passati venticinque anni. Cos'è successo nel frattempo? Internet, la globalizzazione, il turismo di massa... Dài, adesso basta: andiamo a vedere cosa è rimasto! Beh, al netto dei cambiamenti epocali di cui sopra e delle consuete trappole per turisti, nei pochi giorni trascorsi sull'isola devo dire che qualcosa di sufficientemente genuino son riuscito a godermelo. Credo.

Ho visto pecore, mucche, erba. Ho visto il pozzo di San Patrizio. Ho visto Shane MacGowan, Christy Moore e la povera Sinéad sull'Irish Music Wall Of Fame. Ho visto la squadra di Dublino alzare la coppa di football gaelico. Ho visto un mucchio di italiani. Ho visto altre pecore. Ho visto un americano suonare le uilleann pipes. Alle scogliere di Moher ho visto una lepre irlandese, un suonatore di bodhran, del trifoglio e le scogliere di Moher. Ah, e l'Atlantico. E altre mucche. Ho visto il suolo lunare ma era il Burren. Ho visto Kilkenny dall'alto della St.Canice Tower dopo aver amabilmente discusso con un locale homeless nel mio inglese smonco. Ho visto suonare gli Shamròg e ho cantato The wild rover. Ho visto erba, mucche, pecore e gabbiani (non li avevo ancora menzionati i gabbiani?). Ho bevuto come tutti la birra con l'arpa per non fare troppo l'originale. Avrei voluto chiedere alla nostra guida Hugh (che lavorava da giovane per la radio di stato Rté) se aveva avuto a che fare con qualche storico musicista locale durante le sue trasmissioni. Non l'ho fatto perchè mi sto rammollendo. Ho imparato che il "perfect weather" è un'alternanza di pioggia e sereno con non più di venti gradi centigradi. Ho capito che, con tutte le disgrazie che hanno avuto, il minimo per gli irlandesi è vedere ogni tanto qualche leprecauno nei boschi. A proposito di leprecauni: uno di loro mi deve aver fatto un sortilegio riportandomi indietro nel tempo, perchè ad un certo punto mi son trovato dentro ad un negozio di dischi a comprare dei cd. Non contenti, abbiamo acquistato persino qualche libro, con i fogli di carta e le parole stampate. Tipo quelli (parecchi) che ci ha mostrato orgogliosamente il nostro host Seamus prima che ce ne andassimo, tutti dimenticati dagli ospiti durante la loro permanenza nel suo albergo a Dublino. Seamus ci ha tenuto a precisare "I don't read books" e in lontananza ho sentito le grida di dolore di Joyce, Wilde e Yeats. Ma erano solo gabbiani.



mercoledì 26 luglio 2023

Look at what we did together

Alè, come ai vecchi tempi: missione in solitaria a vedere un concerto. I precedenti mettono soggezione: Bob Dylan, Shane MacGowan, R.E.M. e forse qualcos'altro che non mi ricordo. Perchè uno fa queste cose? Facile: perchè, anche se in compagnia sarebbe ovviamente più bello e più sensato, a volte ci sono dei concerti da cui - per i motivi più vari - ci si sente attratti e basta, un po' come dal monolite di 2001. Stavolta è toccato ai Black Country, New Road a Bologna nella-splendida-cornice di DumBo Baia: loro sono una delle mie recenti passioni o flippe che dir si voglia (sulle passioni o le flippe è inutile discutere) e la distanza e l'orario erano affrontabili anche da uno più vicino ai sessanta che alla pubertà. La pesante cappa di afa estiva che ci accompagna da qualche anno a questa parte (auguri a tutti per il futuro) non è stata un elemento a favore ma la gente c'era comunque. Anzi, nonostante i miei pregiudizi del tipo gruppo-fighetto-pubblico-fighetto mi son dovuto ricredere perchè si era tutti belli ammucchiati (visibilità a seconda dei momenti) e pronti a fare baracca manco ci fosse un qualsiasi trapperino da superhype. Non solo: c'era persino chi ingannava l'appicicaticcia attesa (un'ora precisa di ritardo dall'orario previsto, forse per adeguarsi al fuso inglese) cantando sguaiatamente le note di sax che introducono Up song dal già classico Live at Bush Hall, chi sacramentava, chi spandeva THC nell'aere, chi arrivava all'ultimo momento spintonando per imbucarsi davanti, eccetera. Tutto lasciava di conseguenza presagire accendini e cori durante l'esibizione (spoiler: ci sono stati). Concerto splendido e momenti di commozione collettiva, nonostante il gruppo abbia rischiato di sciogliersi sul palco e non metaforicamente: la parola "sweat" è stata la più pronunciata assieme a "grazie mille" e sono state necessarie alcune pause per ripigliarsi e accordare gli strumenti. In conclusione, da vecchio fan di musica popular, mi sento solo di augurare buon proseguimento a questi sbarbi albionici perchè stanno dando soddisfazione alla nostra piccola comunità di appassionati, composta persino da gente coi capelli grigi che prende su da casa per andare in mezzo ad un gruppo di scalmanati ad urlare "Look at what we did together" come se da ciò dipendessero i destini dell'intero universo.

venerdì 23 giugno 2023

Spalata

Come si fa a scrivere qualcosa di sensato sull'alluvione in Romagna? Tendenzialmente direi che non si fa, punto. Rewind: le notizie che arrivavano man mano, i disastri da tutte le parti, le vite perdute, le città stravolte, le case allagate, i campi affogati, niente come prima. E la paura che possa succedere di nuovo, da un momento all'altro. La natura mette sotto pressione i piccoli homo sapiens e li fa impazzire. La colpa è di questo, la colpa è di quell'altro, tante parole inutili. Poi improvvisamente, come spesso accade, l'homo sapiens nelle disgrazie trova un po' di forza per reagire e mentre sbadila fango si mette a cantare, proprio come gli scariolanti che furono. Quella Romagna mia intonata per farsi coraggio, prima di diventare una cartolina ad uso e consumo delle news, ha colpito al cuore chi ha con questa terra uno stretto rapporto di appartenenza, nonostante le milionate di contraddizioni (ogni mondo è paese, fuor di banalità). Con la solita faccia tosta da vecchi adolescenti, noi Jean Fabry abbiam pensato di farci su una canzoncina delle nostre: Spalata (raffinato gioco di parole fra sbadilata e "esagerata, eccezionale" per i romagnoli). A parte gli scherzi, non è stato facile decidere di realizzarla perchè mi sembrava quasi una presa in giro di fronte alla catastrofe. Però quando io e Pappi l'abbiamo eseguita in anteprima al Centro Sociale Porta Nova (non si scherza mica, qua!) qualcuno si è commosso, qualcuno mi ha chiesto "Ma è di Russi, lei?" e qualcuno ha detto che "ci voleva". Pensa te.

https://www.youtube.com/watch?v=beeT3ZpVq6M&list=OLAK5uy_l2JuULiRyeK1e2G_XVOJG4aPixz2Kvr6w&index=1

mercoledì 17 maggio 2023

Il contrario di epicentro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Terza puntata per i Salti di scimmia, il mio giochino nato in tempo di lockdown con il fondamentale apporto di Duna. A voler essere onesti, stilisticamente è la roba che facevo in cameretta negli anni novanta (voce, chitarra e drum machine) ma la differenza la fa il mix (o forse sarebbe meglio chiamarlo produzione): echi, effetti, pieni/vuoti, manco fosse trap. Boh, a me il risultato diverte molto e si potrebbe anche osare di più. Averci il tempo! Comunque, stavolta i tre pezzi sono:
1) Il contrario di epicentro (che a conti fatti è la mia ennesima predica sul potere salvifico della musica-fatta-in-casa contro le amarezze della vita - quasi un pezzo serio, ambientato in una provincia forse più interiore che geografica)
2) Vola (che a conti fatti è una specie di omaggio al rock che fu, da Neil Young a soprattutto i Pink Floyd - praticamente il giro è quello di Time, anche se - dai - la melodia è differente)
3) La media matematica (che a conti fatti va col pensiero alla generazione di mia figlia, schiava del risultato numerico a discapito di tante belle cose che si rischiano di perdere per strada - aspetta, me ne ricorda anche altre, di generazioni)
Capita spesso che io mi ripeta, in questo diario rigorosamente autoreferenziale (se no che diario sarebbe?), ma voglio scriverlo di nuovo: quando in gioventù ho cominciato ad assemblare delle canzoncine catartiche che mi aiutassero ad esorcizzare i miei piccoli demoni quotidiani, non mi rendevo conto di aver trovato una medicina che mi avrebbe curato per tanti anni consentendomi anche uno scambio più che soddisfacente con altri compagni di strada. Quindi, uno sfacciato consiglio da vecchio: pitturate, assemblate parole, appiccicate fra loro immagini in movimento, pasticciate con strumenti musicali a voi ignoti, fate quello che potete per creare qualcosa. Poi, nel tempo restante, fingetevi responsabili e portatevi a casa da mangiare nella maniera più dignitosa possibile. Se sarete fortunati le due cose potrebbero pure coincidere, ma se anche così non fosse il saldo sarebbe ugualmente in attivo. Provare per credere. Hallelujah!

 https://www.jeanfabry.net/audio/Salti%20di%20scimmia%20-%20Il%20contrario%20di%20epicentro.zip

mercoledì 10 maggio 2023

Continuiamo così, facciamoci del male


Andare in un cinema d'essai a vedere l'ultimo film di Nanni Moretti è stato come andare a vedere i recenti sequel di Star Wars. Alè, la bestemmia l'ho detta e adesso posso argomentare. Entrambe le cose (Moretti e Star Wars) fanno parte della mia formazione ed entrambe sono collocabili in un periodo spaziotemporale piuttosto lontano e per forza di cose diverso da ora, per me nello specifico ma credo per tutti in generale. "Il sol dell'avvenire" è pieno di strizzate d'occhio al fandom morettiano e sinceramente da questo punto di vista me lo sono anche piuttosto goduto. Rimane però la questione del tempo che è passato e del futuro che fa un pochino paura. Ai tempi che furono un buon alternativo-nerd-intellettualoide aveva nel suo background il pop-rock classico e l'indie anni ottanta, il cinema americano da popcorn e quello autoriale european style, i fumetti della Bonelli e Frigidaire e così via. Queste apparenti contrapposizioni non comunicanti in realtà erano strettamente correlate e spesso convivevano tranquillamente, linguaggi diversi che formavano un unico multiforme vocabolario espressivo. Ecco, Moretti nel 2023 è un po' come una lingua antica parlata da tribù in via di estinzione, popoli che avevano una idea di futuro probabilmente sbagliata ma almeno ce l'avevano. E soprattutto avevano un dialogo - anche conflittuale - con altre realtà vive e propositive. Non so se queste scoraggianti riflessioni siano solo figlie della mia non più verde età, fatto sta che il logaritmo sta tirando su tanti bei muretti individuali in cui richiudersi dimenticando cosa c'è (o cosa ci potrà essere) là fuori. Comodo, ma triste. Continuiamo così, facciamoci del male.

domenica 16 aprile 2023

La pioma d'al piopi

 Il buon Savini (nelle vesti di cronista del settimanale locale SettesereQui) mi ha invitato a partecipare all'ennesima serata in dialetto romagnolo assieme a musicisti, attori e poeti ben più meritevoli di me. Nei sempre più risicati ritagli di tempo mi son quindi messo di buona lena a provare qualcuno dei recenti pezzi in vernacolo, con l'idea di fare il fenomeno e proporli in veste di solista. Però a "Scor com ut a insigné tu mé!" era giustamente stato coinvolto anche Claudio Molinari e quindi mi son detto che sarebbe stato obbligatorio un bel duetto su Quant ridar, pezzo dei Jean Fabry da lui apprezzato al punto di coverizzarlo (che non penso si dica, ma non importa). Man mano che i giorni passavano e l'evento si avvicinava, mi è venuto spontaneo chiedere anche agli altri due Jean Fabry se volevano fare pure loro qualche coretto. Insomma, alla fine ci siamo trovati tutti sul palco del circolo "I fiori" ad eseguire SOLO pezzi del nostro repertorio e tanti saluti alle mie velleità solitarie. Ben contento della logica conclusione della faccenda, ne ho approfittato per declamare La pioma d'al piopi (versione tradotta de I pappi dei pioppi) con Marlo a fare da tutorial coi suoi bei piumini svolazzanti. Pappi di conseguenza non è stato chiamato in causa per il solito calembour vegetale sul suo cognome ma ha guadagnato una prestigiosa comparsata in veste di cantante. Il trionfo è stato completo quando Molinari ha ricambiato il favore e ci ha fatto esibire in finale di set nell'ormai classica La Balilla. A parte tutte le solite baggianate, mi sento di dire che più passa il tempo e più le cose importanti diventano urgenti: non si possono sprecare le poche occasioni concesse dalla buona sorte. E' bastata la presenza di Miro Gori e delle sue letture in riminese (per noi quasi ostrogoto, e si parla di qualche decina di chilometri) per farmi realizzare una volta di più quanto siano volatili le granitiche certezze dell'altro ieri: in fin dei conti saremo presto inutili, noi col nostro punk mentale e il nostro dialetto, ed è meglio fare un po' di scompiglio (sgumbej) finchè si può.

LA PIOMA D'AL PIOPI

LA PIOMA D'AL PIOPI
LA VA SEMPAR IN ZIR
U'N S'CAPESS PARCHE'
MO U I SARA' E SU MUTIV

LA PIOMA D'AL PIOPI
L'A VEN ZO' D'E ZIL
LA FA UN GRAN SGUMBEJ
PAR TOTT E CURTIL

LA PIOMA D'AL PIOPI
ALE' STRA' U I E' ZVANI'
CH'E DA' MENT AL VOS
D'E FOND D'E BICHIR

LA PIOMA D'AL PIOPI
L'AS FERMA PAR ERIA
L'AN CRED PROPI IN GNIT
L'A POCA MEMORIA

mercoledì 29 marzo 2023

Nell'aria

"Si vede che era nell'aria...". Così mi rispose tempo fa Ivano Marescotti quando io, con una notevole faccia tosta, lo informai che noi Jean Fabry (con Radio NK) avevamo realizzato prima di lui uno spettacolo chiamato Linguàza. A proposito di aria, ce n'era parecchia in Romagna domenica scorsa, proprio nel giorno in cui Marescotti ci ha lasciato. La notizia è giunta in serata, dopo che nel pomeriggio come Capra & Cavoli ci eravamo esibiti in piazza a Conselice, dove un vento d'altri tempi faceva volare via transenne e sedie di plastica come fossero fuscelli. Questo particolare vento faceva perdere il senso dello spazio e del tempo (oltre a far perdere i treni, come successo al buon Marlo raccattato in extremis da Pappi). Potevamo essere in una qualsiasi piazza romagnola in uno qualsiasi degli ultimi trenta, quaranta, cinquant'anni e non si capiva se quello che stavamo facendo era un ricordo o una visione del futuro. No, non mi ero calato un acido: mi son proprio sentito come se i calendari e le cartine geografiche si fossero scombinate. D'altronde, i giovani d'oggi si scambiano vinili e polaroid come nel 1973: è facile sbagliarsi. Approfittando di questa confusione, siamo finalmente riusciti a suonare in pubblico "Non a Nottingham" dal Robin Hood della Disney (1974). Tutto questo è stato reso possibile grazie alla Pro Loco e al service dei Reverse (non quelli new wave della Fusignano anni '80, ma l'omonima band conselicese - altro bizzarro straniamento). Giusto i Reverse ci hanno chiesto altre canzoni degli Skiantos oltre a Gelati (dedicata alla gelateria sponsor dell'evento) ma non abbiamo accolto né le loro richieste, né - non per cattiveria, ma perchè non in grado di suonarla - quella di "Whisky il ragnetto" (evergreen delle scuole materne di tutto il globo, credo). Comunque: settanta, ottanta. E i novanta? Ecco, è nei novanta che si uniscono tutti i puntini: mentre noi guitti muovevamo i primi passi dilettanti (e siamo tuttora lì), Marescotti con lo spettacolo "Zitti tutti" iniziò l'ultimo giro di valzer del dialetto romagnolo, ridando al nostro vernacolo la meritata dignità prima del viaggio senza ritorno nell'oblio delle lingue (linguàze) dimenticate. E così, prima che tutto volasse via, l'ultima canzone suonata a Conselice è stata E zir d'e clomb: non lo sapevamo, ma era una dedica. Si vede che era nell'aria.