lunedì 12 ottobre 2009

Elogio a Jojo


Mi accingo a tentare di compiere un'impresa improba: scrivere qualcosa a proposito di Jonathan Richman senza farmi trascinare nel Mondo Delle Iperboli a causa della mia smisurata ammirazione per la sua arte. So già che non ce la farò mai.

Cosa dicono di lui? Che è il "padrino" del punk (inteso come genere musicale). Mi permetto di approfondire la questione. La prima fase della sua carriera (fine anni '60 - inizio '70) è caratterizzata dall'attività con gli originali Modern Lovers, fautori di una sorta di garage-art rock semplice-semplice che in effetti ha molti punti di contatto con il punk, soprattutto a livello di attitudine: la sostanza prende il sopravvento sulla forma, anche se le due cose in casi come questi coincidono quasi perfettamente. Nei Modern Lovers non è comunque presente la componente più aggressiva e oltraggiosa del cosiddetto punk "storico", cioè l'aspetto che più di ogni altro ha codificato il genere negli anni a venire fino a diventare macchietta d'avanspettacolo: creste, spille, sguaiatezza molesta e via dicendo. Le tematiche delle canzoni sono esistenzial-adolescenziali, perennemente in bilico tra naiveté e spiazzante sincerità. La principale influenza di Richman in quegli anni erano i Velvet Underground, e si sente. Simbolo di questa fase è il pezzo Roadrunner, composto da due accordi e da un testo basato sui viaggi in automobile lungo le superstrade attorno alla natìa Boston con la radio sempre accesa. E' una canzone universale. Ci si potrebbe tranquillamente fermare qui, e in effetti sono in molti ad averlo fatto: Jonathan Richman verrà perennemente ricordato per Roadrunner, e non c'è niente da eccepire.

Quando Roadrunner diventa famosa, i primi Modern Lovers sono già praticamente sciolti e il nostro eroe ha imboccato una direzione differente. Comincia a preferire la chitarra acustica a quella elettrica, abbassa il volume delle sue esibizioni e partorisce una serie di canzoni surreali che potrebbero superficialmente essere definite "per bambini" ma che invece costituiscono il fondamento su cui si baserà l'artista Richman per tutti gli anni a venire. Canzoncine fatte di pochi strumenti, coretti sognanti e battimani al punto giusto, filastrocche con protagonisti gelatai (Ice Cream Man), piccoli aeroplani, piccoli dinosauri, piccoli kookenhaken (???), abominevoli uomini delle nevi al supermercato e così via. Ah, e poi brani strumentali con un sapore etnico da cartolina come la celeberrima Egyptian Reggae, che arrivò fino al quinto posto nelle classifiche inglesi nell'incendiario 1977. Il disco "Moden Lovers Live" racconta in maniera succinta ma esaustiva tutta questa faccenda e per quel che mi riguarda è il capolavoro di Jonathan Richman.

Da qui in avanti ci sono molti dischi, molti concerti e molte altre canzoni, alcune memorabili e altre meno. Fra le prime segnalo gli affezionati tributi a Vincent Van Gogh, alla Fender Stratocaster, ai Velvet Underground e I Was Dancing In The Lesbian Bar, quest'ultima eterno cavallo di battaglia dal vivo con tanto di balletti e ancheggiamenti. Lo stile si è consolidato in una sorta di ibrido delle prime due fasi di carriera; i soggetti delle canzoni si fanno a volte più seri ma l'esposizione resta estremamente minimale. Negli ultimi anni Jonathan Richman ha trovato una controparte perfetta nel batterista Tommy Larkins, con il quale registra e si esibisce in giro per il mondo. Sono sempre più presenti nel suo repertorio canzoni in francese, spagnolo e addirittura italiano (come l'incredibile Così Veloce). Oramai è diventato un entertainer a tutto tondo: i concerti sono veri e propri spettacoli con numerosi monologhi, primitivi assoli di chitarra tra il latineggiante e il surf e un'abbondante dose dei succitati balli figurativi.

Richman è in grado di mettere in risalto (come pochi altri) i piccoli, insignificanti particolari che rendono la vita degli esseri umani degna di essere vissuta. Il suo apparente autolesionismo lo spinge, in un mondo di calcolati professionisti, a perseverare nell'incoscienza dei dilettanti, mille volte più creativa e spesso geniale. Pare un perdente alla Wile E. Coyote ma è capace di liberatorie fughe alla (ehm) Roadrunner. Qualche anno fa al Bloom di Mezzago (MI) il pubblico implorava un bis: Jojo, invece di offrire uno dei suoi numerosi classici, se ne uscì con una versione a cappella de La Donna Riccia di Domenico Modugno. E per l'ennesima voltà spiazzò il mondo.

Tour italiano 2009:

Mercoledì 21 Ottobre, La Casa 139, Milano

Venerdì 23 Ottobre, Suoneria della musica, Settimo Torinese, Torino

Sabato 24 Ottobre, Bronson, Madonna Dell'Albero, Ravenna

Domenica 25 Ottobre, Big Mama, Roma

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