domenica 15 settembre 2019

VENTICINQUE

Ogni tanto bisogna fare mente locale e riconoscere la fortuna che si ha. Essere nato in questo periodo storico, in questa parte del pianeta Terra, ha fatto sì che mi trovassi una sera di settembre dell'anno 2019 nella città di Forlì (Romagna, Italia) per celebrare i venticinque anni di attività dei Jean Fabry, il gruppo "musicale" di cui ho l'onore di fare parte. Venticinque anni fa era il 1994: Silvio Berlusconi ci mostrò quanto fosse facile passare dalle televendite al potere politico, il povero Kurt Cobain ci mostrò ancora una volta che soldi e successo non fanno necessariamente la felicità e internet era ancora fantascienza. In quegli anni chi era appassionato di musica poteva ancora giocare con i concetti di "mainstream" e "alternativo" e soprattutto si poteva ancora dichiarare pubblicamente che non ti piacevano i Queen senza essere linciati. Io, Pappi e Marlo eravamo già vecchi ma cominciammo a fare quello che i dettami del punk dicevano: tutti possono mettere su una band. E così fu. Sempre in quell'anno incontrammo il Maestro Giovanni Fabbri in arte Jean Fabry, che con il suo entusiasmo naif ci diede l'ultima spintarella ed eccoci ancora qua, dopo un quarto di secolo, a far finta di suonare. E' chiaro che, senza l'aiuto di tutti gli amici che ci hanno preso in simpatia lungo la strada, saremmo già tornati nei ranghi e non finiremo quindi mai di ringraziare sentitamente chi ha assecondato la nostra beata incoscienza. Detto questo, quello che è andato in scena ieri sera davanti ai Musei San Domenico è stato un evento - attenzione, partono le iperboli - epocale, irripetibile e commovente. Diamo i numeri: due ore e mezza di spettacolo, tipo i Cure o Vasco Rossi, davanti ad amici/parenti/perfetti sconosciuti con l'enorme apporto dei fonici delle Tre Civette che hanno dovuto fare i miracoli per farci sembrare quasi un gruppo vero e non il branco di sprovveduti che in realtà siamo; venticinque pezzi tratti da tutto l'arco della nostra "produzione" (riesumazioni preistoriche come Nero, La grande tavana, La liturena e un pizzico di Capra & Cavoli con Dove si nasconde il camaleonte); svariati momenti di "rilassatezza" (leggasi i soliti discorsi a vanvera con la solita complicità del pubblico). Sul palco con noi: l'immancabile Sindaco Molinari, che ha orgogliosamente proposto la sua versione della nostra Quant ridar più La Balilla in romagnolo; Miguel degli MM40, con il quale abbiamo duettato (!) su Come together (per i 50 anni di Abbey Road dei Beatles) e su Rotoballe; grande ritorno di Giulio al rullante selvaggio per spingere l'acceleratore verso lidi sempre più noise (abbiamo rispolverato addirittura Zavaglio generale, in versione tascabile ma pur sempre pregna di nessun significato); dulcis in fundo Mauro Cavalazzi al sax (ci siamo conosciuti giusto ieri grazie a Francesco, già colpevole di averci contattati per la serata) che si è esibito con noi in una incredibile (in ogni senso) versione di Ginko biloba, a dimostrazione che, nonostante tutto, il mondo ha ancora bisogno di punk mentale.

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