martedì 12 marzo 2019

Che peccato













Sarò per sempre grato a Mark Hollis. Nel calderone del boom new wave/synthpop della prima metà degli anni ottanta, i Talk Talk rappresentavano l'anomalia: non erano fighi e lui non aveva una voce sensuale ma pezzi come Such a shame spaccavano di brutto, almeno a casa mia. La vera epifania, però, avvenne poco più in là, quando da Muzak arrivò Spirit of Eden: lo mise su, il mondo non se lo filò quasi per niente, la EMI licenziò i Talk Talk a causa del flop ma nonostante tutto mi resi conto che a me piaceva. Le atmosfere erano quanto di più lontano si potesse concepire in quel periodo di rinascita del rock testosteronico da "duri". Per qualche anno lo considerai un guilty pleasure (una di quelle debolezze di cui vergognarsi) poi, dopo qualche tempo, qua e là cominciarono ad affiorare degli estimatori di quella strana roba jazz/folk/mistica-ma-non-da-fricchettoni e venne fuori che universalmente veniva considerato un capolavoro al pari del seguito Laughing stock e del solo omonimo di Hollis, che purtroppo resterà figlio unico. Grazie quindi a quel buffo tipo con la berretta, le orecchie a sventola e la voce nasale: mi ha insegnato ad ascoltare non quello che dovevo, ma quello che volevo.

2 commenti:

  1. Gran personaggio, fuori dal coro. Del resto come Paul Webb: si erano trovati. Ho fatto anche in tempo a vederli (Ferrara '84 o 85)

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