venerdì 4 aprile 2014

27

Avevamo entrambi 27 anni. Lui non c'è più mentre io sono ancora qua. Son passati vent'anni e, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, NON sembra ieri. Noialtri ascoltatori di musica alternativa eravamo troppo avanti per ascoltare i Nirvana (anche se ovviamente li conoscevamo a memoria grazie a Videomusic e alle radio - preistoria mediatica) ma la morte di Kurt Cobain mi colpì molto perchè chiuse bruscamente e negativamente l'ultima epoca d'oro del cosiddetto"rock". Era una meraviglia andare ai concerti e stonarsi a suon di sangiovese e distorsione (Pavement + Sonic Youth a Cesena, per esempio); la parte "oscura" degli anni ottanta aveva lasciato il posto alle chitarre e alle camicie di flanella senza rinnegare punk e post-punk: il paradiso in terra. Poi, è chiaro che si è giovani una volta sola e ognuno di noi resta cristallizzato in un periodo storico ben preciso, ma la mia sensazione è che in quel momento qualcosa cambiò per sempre. Un miliardario proprietario di squadre calcistiche e reti televisive divenne presidente del consiglio (e, a differenza di Cobain, è ancora vivo e vegeto) e cominciò una lunga epoca di riflusso culturale: il trash da culto divenne moda (trasformandosi più tardi in vintage), il vecchio divenne il nuovo e si affacciò all'orizzonte una strana cosa denominata internet. Il futuro era finalmente arrivato.

A 27 anni si è già vecchi, come minimo adulti. Io però non avevo ancora capito un bel niente (non che la cosa sia cambiata, anzi) e destinai le ultime energie della cosiddetta gioventù a cercare due cose: un lavoro e il fine ultimo dell'esistenza. Ora posso dire di aver trovato entrambe le cose: una occupazione nell'ambito socio-sanitario e una allegra famigliola. L'ingrediente segreto è però ovviamente il punk mentale, la cui ricerca ebbe inizio in quel lontano 1994 recandomi da Pappi per fondare una band impossibile e necessaria. Almeno per noi. At salut e pu grazie, Kurt.

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