sabato 10 luglio 2010

Invasione a chilometri zero


Continua la mia involontaria guerra di conquista domestica. Suonare a Russi (dove dimoro) con i Jean Fabry è stata per l'ennesima volta una bizzarra esperienza, anche perchè in questa occasione si era in centro, ad un angolo di strada, come dei finti buskers indie-snob. Portare il punk mentale alle masse sta diventando sempre di più una missione: nel mezzo della generale e più che logica indifferenza raccogliamo ad ogni esibizione quei pochi ma fondamentali consensi che ci spingono a continuare con questo assurdo, masochistico martirio. Ogni tanto, mentre sono intento a fingermi un suonatore, giungono momentanei sprazzi di lucidità e per un momento affiora anche un po' di sano pudore. Ma niente da fare, la baracca va avanti, senza un apparente controllo, e la sensazione di essere degli invasori della vita altrui non è sufficiente a fermare il misterioso disegno di cui ormai nessuno di noi ricorda più un accidente. Così naufraghiamo (come si direbbe in poetese), alla deriva in un mare di amici, parenti, conoscenti, ex compagni di scuola, ex colleghi di lavoro, volti noti e meno noti del paesone, quello-è-il-figlio-del-tale, quello-è-il-babbo-della-tale, gente che fa finta di non vederti, gente che si sbraccia per salutare, carabinieri, cartolai, farmacisti, piccoli imprenditori, giovani speranze, vecchi punk (anche se i punk non invecchiano), eccetera. Proprio come uno di quegli strani sogni da indigestione, dove tutto si mescola in maniera casuale e non si capisce mai quale sia il punto. E ci si rende conto, con un misto di impotenza e stupore, che potrebbe anche durare all'infinito.

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