martedì 19 novembre 2024

Dischi importanti: Violent Femmes - Halloweed ground

Corri, corri, corri, poi ogni tanto ti fermi un attimo e dici: ecco. Ecco il senso, ecco il big bang, ecco perchè. È che ci si scorda, tutto qua. Troppa roba per la testa e troppo poca testa per tutta la roba. Vieni a sapere che Halloweed ground ha quarant'anni e dici no, dai, non scherziamo. E ti torna in mente tutto. Che poi non è che sia questo gran che. Cioè, no, non dico che Halloweed ground non sia fondamentale, dico solo che, nel grande schema dell'universo, l'epifanico effetto che ha avuto su di me questo disco dei Violent Femmes (quei tizi di Milwaukee che hanno elevato il buskeraggio ad avanguardia) è sicuramente irrilevante. Del resto, questo si può affermare a proposito di parecchie cose. Però: la somma di un fantastiliardo di cose irrilevanti non potrebbe dare come risultato una - seppur infinitesimale - cosa rilevante? Chi lo sa. Magari è proprio così, e la sezione di Black girls in cui succede di tutto (dallo scacciapensieri ai giocattoli, con John Zorn a briglia sciolta) non potrebbe essere stata determinante nel forgiare le meraviglie del creato? Boh, vabbè, a me ha cambiato la vita. Sì, lo so, lo dico di tante cose, va bene, sono stato fortunato. In un momento in cui una delle mie varie stelle polari (chi ha detto che ce ne debba essere una sola?) era l'ammerika “alternativa”, questi arrivavano cantando inni cristianeggianti à-la-punk (Jesus walking on the water) e donavano una sfumatura epica al cuore nero della campagna in miseria (Country death song). L'energia emanata è talmente contagiosa che te ne freghi di quello che canta quel mattacchione di Gordon Gano: ha comunque ragione lui. Per farmi del male ho cercato sul web recensioni, impressioni ed elucubrazioni su Halloweed Ground e ho trovato di tutto: viene definito “divisivo”, “capolavoro”, “razzista”, “meglio del primo”, “peggio del primo” e via sproloquiando. A un bel momento non ci ho capito più niente e ho fatto l'unica cosa sensata: l'ho riascoltato. Scrivere di musica è come ballare di architettura, no? Perfetto. Fin troppe volte ci si fa intortare (me compreso, ovvio) da parole, accostamenti, carriole di hype. Per tutti c'è stato un tempo in cui le cose succedevano e basta (indicativamente in gioventù) e quel tempo ce lo si porta dietro fino alla fine. C'è chi si ferma lì senza accorgersi di essere un inguaribile nostalgico. C'è chi rinnega tutto “perchè bisogna andare avanti”. C'è chi continua a cercare le stesse sensazioni, a volte invano e a volte no. Fatto sta che - e ora bisogna che stringa perchè non so più dove voglio arrivare - una delle sei-sette canzoni che ogni tanto mi vengono inconsapevolmente in mente tormentone-style è un pezzo di Halloweed Ground: I know it's true but i'm sorry to say. Non so perchè e son contento di non saperlo: per amor di statistica, tra le altre ci sono Just like heaven (Cure), Talk about the passion (R.E.M.), Reel around the fountain (Smiths) e, insomma, i conti pur inconsciamente tornano. E adesso chiedo scusa ma riprendo l'ascolto, prima che sia troppo tardi.

martedì 5 novembre 2024

I'm a loser, baby

Come elettore di centrosinistra sono abituato a perdere. Anche quando vinco. Già il fatto di dover sempre votare per il “meno peggio” è una sconfitta. La linea di demarcazione fra servizio pubblico e potere personale mi appare sempre più sfumata: forse mi sono svegliato tardi? Boh, mi sa invece che sto ancora dormendo, sognando imperterrito un mondo più “giusto”. Il problema è che quel che è  “giusto” per me non lo è per te, e qui casca il povero asino. L'idea che la storia (perlomeno quella occidentale) sia stata un lungo viaggio verso la conquista dei diritti universali è oramai decaduta a causa di un revisionismo figlio della paura incontrollata di perdere la terra da sotto i piedi (ovviamente i miei, dei tuoi chi se ne frega). La crisi climatica? A seconda della convenienza si attribuiscono le colpe a tizio o a caio (spoiler: la colpa è, banalmente, di tutti). La crisi economica? Idem. I fenomeni migratori vengono trattati come un sintomo (e quindi, vai giù duro di antibiotico) e non ci si sbuccia per fare una bella diagnosi come si deve. Diagnosi che forse porterebbe a delle sorprese, tipo che non di patologia si tratta bensì di cura per una società vecchia e malata. Istruzione? Educazione? Libertà di espressione? Non pervenute, o meglio - anche qui – tirate in ballo solo per questioni di comodo. In questo quadro desolante (perlomeno nella mia testa) arrivano LE ELEZIONI AMERICANE, spettacolo quadriennale che mi rammenta con tenerezza i momenti in cui ci si illudeva fossero veramente importanti per tutto il globo. E invece - oplà – grazie alla globalizzazione abbiamo scoperto che l'occidente è minoranza e che, tutto sommato, queste consultazioni sono importanti ma al pari di mille altre robe. Detto questo, richiamando appunto le mie inclinazioni diciamo “progressiste” è chiaro che non potrò mai essere contento in caso di affermazione dell'amico Donald, non foss'altro per le posizioni apertamente pro-aborto dell'amica Kamala. Battaglia di facciata per raccogliere consensi? Boh, fra questa e quella di costruire un bel muro per tenere lontani i migranti cattivi preferisco di gran lunga la prima. In fin dei conti, si vota anche per quello in cui si crede, no? Però mi sa che sta proprio qui il punto; c'è più gente che crede in qualcos'altro. Il futuro non esiste più, quindi si persegue la soddisfazione immediata, fast-food style. Sarà un bene? Sarà un male? E chi se ne frega. Io ultimamente penso spesso allo striscione del Pistoia Basket con scritto: non puoi vincere, al massimo puoi segnare più di noi. Amen.

mercoledì 30 ottobre 2024

Èmotivo

Nell'anno del trentennale un piccolo EP dei Jean Fabry registrato da Duna l'anno scorso. A parte il mix "folk" di Spalàta (tornata tristemente di attualità) due pezzi nuovi: Èmotivo e La sonda lambda. Il primo un rocksteady lento e minimale (sì, vabbè, diamo poi sempre dei nomi alle cose anche quando non serve) pieno di parole che a prima vista non dicono niente ma probabilmente avevano originariamente l'intenzione di essere autobiografiche per poi perdersi in calembours da quattro soldi tanto per cantare. Fondamentale Giulio alle teste di moro. Il secondo pezzo ha a che fare con i segnali (spesso inascoltati) che il nostro organismo ci manda quando l'età avanza. Sul finale, la puerile interpretazione di una intelligenza artificiale in modalità "sono più brava di voi". Bel riff rock anni settanta eseguito dal basso del sindaco Molinari, che è sempre più avanti di tutti (e infatti i settanta li ha già da un pezzo). Dopo i regolamentari e i rigori, cosa resta dei Jean Fabry? Non si sa, si vedrà.

giovedì 12 settembre 2024

Dischi importanti: Portishead - Dummy

Una volta, da queste parti, erano tutte chitarre. Da quelle fricchettone a quelle grattuggiate, fino a quelle che ululavano dentro e fuori dagli amplificatori. Qualche sporadica tastiera, pianoforti da ballad, batteria elettronica dimenticata in soffitta (ma che tornava buona in assenza di batteristi, perchè quelli che c'erano erano tutti o metal o funky). Era difficile per quelli come me avvicinarsi all'hip-hop, ai campionamenti, alle atmosfere -aaaargh!!!- jazzate, a mondi apparentemente alieni e incomprensibili. La prima volta che sentii i Portishead fu alla radio, credo Rai: misero su Sour times e io - raffinatissimo conoscitore di musica - li accostai incomprensibilmente a Tom Waits, anzi addirittura a qualche maldestro imitatore. Non so perchè e tuttora non l'ho capito, fatto sta che però nel giro di poco le cose cambiarono, fuori e dentro di me. Le chitarrazze grunge erano diventate il mainstream, c'era nell'aria un rigurgito di magniloquenza rock e un certo tipo di mondo andò in mille pezzi assieme al povero Kurt Cobain. Era il momento di aprirsi, o chiudersi per sempre. La mia fortuna fu Dummy. Senza rinnegare le mie radicate passioni allargai un filo gli orizzonti, aiutato comunque dal retrogusto indie-nerd del combo di Bristol: Barrow era uno smanettone creatore di mondi, Utley il perfetto chitarrista per film di spionaggio di serie Z e Gibbons una sirena dall'oltretomba. Sdoganarono tutto un mondo sotterraneo che pareva scomparso e invece era sempre lì (IL THEREMIN!!!) appaiandolo ai sampler e a ritmiche street più consone ad un bel flow incazzato, più che ad una novella Billie Holiday raggomitolata al microfono come per scomparirci dentro. Fondamentalmente roba notturna, anche se forse mi faccio fuorviare dalle mie personali esperienze. Ricordo con la pelle d'oca il festival di Reading 1995, quando nonostante non fossero in cartellone erano la colonna sonora della tendopoli festivaliera nel buio albionico. Dummy fu un successo trasversale, forse proprio per aver sdoganato certe atmosfere apparentemente meno "ribelli" e provocatorie, dando i natali al famigerato trip-hop, etichetta buona per gli aperitivi ma che fondamentalmente era riconducibile esclusivamente ai lavori di un gruppo di artisti di Bristol dei primi anni novanta (Massive Attack, Tricky e - appunto - Portishead). Dentro al disco si trovano - a pacchi - creatività, anticonformismo e tempeste emotive che il grosso del "rock" contemporaneo aveva perso per strada già da mo'. Lo scratch di Strangers (parossistico dal vivo grazie a DJ Andy Smith), i blues da aurora boreale Wandering star e Roads, la quasi-hit Glory box: il disco è un viaggione dall'inizio alla fine. Ah, anche i coevi remix sono uno più bello dell'altro. Come? È roba per depressi? Beh, a me sembra uno splendido antidepressivo, invece. E fa persino ballare, cosa testata personalmente durante le tre volte in cui ho avuto la fortuna di vederli dal vivo. Dopo Dummy, un secondo album altrettanto riuscito (ma senza effetto sorpresa) e un terzo inaspettato sia come tempi (ormai non ci sperava più nessuno) che come contenuti (altri mirabolanti universi). Intanto, la stella vagabonda continua imperterrita a brillare.
 

martedì 3 settembre 2024

Dal caldo al cardo

Un bel giorno, mentre età biologica ed età anagrafica se ne stavano andando allegramente a braccetto verso la loro destinazione naturale, mi sono reso conto che tempo e energia si stavano esaurendo. Che fare? Per il bene dell'umanità, sono andato in ferie. Il cervello rigetta questo vocabolo, lusso per pochi, allora lo riformula come "desiderio di conoscenza per migliorare ed essere sempre più utile" oppure (meglio) "necessità di staccare un attimo prima di sbroccare". E allora via! Usufruendo di un inquinante volo low coast (low fino ad un certo punto, oramai) si possono inseguire mete favoleggiate in gioventù ma mai raggiunte, tipo la Scozia. Intanto, va subito detto che passare anche solo sei giorni in un clima diverso da quello dell'estate 2024 in Romagna ha ampiamente giustificato le cifre assurde spese per viaggio, vitto, alloggio, amenità varie. Eccomi quindi ad Edimburgo dopo essermi documentato (cioè guardando, ehm, documentari) sul sanguinario e spietato passato di queste latitudini: niente di clamorosamente originale, la solita mattanza che tuttora si verifica in alcune sciagurate terre in nome del dio baiocco e dell'insensatezza. Ah, oltre a ciò ho scoperto che il simbolo nazionale scozzese è il cardo selvatico. Bella Edimburgo, anche se ovviamente l'attuale trend fa assomigliare tutte le città votate al turismo di massa: stesse multinazionali, stessa capitalizzazione delle "cose da vedere" e stessa immagine da cartolina ad uso e consumo del parallelepipedo che abbiamo sempre fra le mani.
McClusker The Busker

Ad esempio: essendo io appassionato di musiche varie ed eventuali, ho sempre idealizzato le cornamuse ma, dopo averle sentite ad ogni angolo di strada (e sempre pro turisti) un po' di smago mi è venuto. E' come quando a Roma vedi i centurioni fuori dal Colosseo per le fotoricordo o a Napoli ti cantano 'O sole mio ad ogni piè sospinto. McClusker The Busker si è permesso di suonare Jingle Bells in agosto. Dove stanno LE ROBE VERE? Forse meglio non saperlo e rifugiarsi nella più negletta delle materie: la geografia. Son sempre più convinto che le attuali catastrofi climatiche o umanitarie andrebbero spiegate a noi popolo guardando tutti assieme una bella cartina. Vedete? La morfologia di questa zona porta naturalmente gli abitanti ad allontanarsene, questa zona è più ricca di risorse dell'altra, questo tratto di mare viene attraversato in questo punto preciso, questa catena montuosa fa da barriera per le masse di umidità, eccetera, eccetera. Geograficamente parlando, la Scozia (quel poco che ho visto) è molto stimolante e la stessa Edimburgo passa dal mare ai monti nel giro di poche miglia. Complice una minaccia di pioggia (maledetta dipendenza dai siti meteo!) un viaggio in autobus si è dilungato (per paura appunto di scendere e beccarsi due gocce) fino alla casuale fermata di Portobello Beach facendomi intravedere una spiaggia nordica e dandomi così modo di apprezzarne le crude qualità, tipo Lido Adriano (RA) in gennaio.
Portobello Beach

Di ritorno in città, ci si è spinti in cima all'ermo colle Arthur's Seat per farci strapazzare da un vento tipo K2.
Arthur's Seat








Poco più tardi ci siamo ritrovati a Modigliana (FC) ma -oops- era il pittoresco quartierino di Dean Village.

Dean Village









La natura, nonostante ingabbiata e deturpata, continua dettare legge: cosa molto evidente sulle Highlands, viste di striscio con un fantozziano (ma funzionale) viaggio organizzato. Fa comunque senso sapere che le poderose alture attorno a Glencoe erano poco tempo fa ricoperte da alberi, vittima del disboscamento generatore di facili profitti. Triste. Ad ogni modo, sulle note di Birds of a feather di Billie Eilish (non c'entra niente, ma si sentiva dappertutto e comunque la nostra eroa ha origini scozzesi) ecco il prospetto di sintesi:
1) post-Brexit i prezzi si sono alzati rendendo difficile la quotidianità (e gli scambi internazionali)
2) i mostri di Loch Ness siamo noi
3) un paese che come simbolo ha il cardo merita rispetto.



lunedì 22 luglio 2024

Taylor, dì qualcosa di sinistra (o di centro, o di destra, quello che vuoi)

E così, ci resta solo Taylor Swift. O, in altre parole: aiutaci, Taylor Swift, sei la nostra unica speranza. Come siamo giunti a questo? Beh! Intanto non dimentichiamo che, ad esempio, Ronald Reagan in gioventù era stato un attore (magari non una superstar, okay, ma se lo ricordavano bene, ecco), Berlusconi cantava sulle navi, Grillo e Zelensky facevano i comici, Cicciolina... vabbè, insomma ci siamo capiti. Però per la divina Taylor quel che si prospetta è addirittura il ruolo della salvatrice del mondo libero: e Taylor fai 'sto benedetto endorsement, e Taylor cosa ne pensi del conflitto israelo-palestinese, e Taylor di qua, e Taylor di là. No, ma dico, seriamente: c'è fior di commentatori che aspetta una sua mossa, anche perchè, obbiettivamente, sposterebbe opinioni, voti e pure l'asse terrestre, mi sa. E lei zitta. Niente. Continua a portare in giro per il mondo il suo circo, a riempire gli stadi, a fare i miliardi e ad essere famosa-perchè-famosa. Ma per ora nient'altro. Secondo me aspetta il momento giusto, la furba. La cosa bizzarra è che non ci vedo niente di strano. Il consenso e il potere, ora più che mai, percorrono la stessa strada. E adesso basta, se no mi viene su una botta di anarchia e rischio seriamente di dire qualcosa di sensato.

sabato 29 giugno 2024

Daffo-dils!

Quanti dischi. Quanti dischi ho ascoltato e non è ancora finita, come diceva quello. Alla fine, cosa rimane di tutti questi ascolti? Le canzoni, ecco cosa rimane. Ma non tutte, ovviamente. Ad ognuno restano le sue, mi vien da dire, per svariati e inspiegabili motivi. Quindi, come funziona? Posto che oramai nella mia testa non credo ci sia più possibilità di incamerare rivoluzioni (tra l'altro in giro non ne vedo, ma può darsi sia la vista balenga), funziona così: leggo qua e là, mi faccio intortare, trovo in giro il materiale e passo all'ascolto. A volte, dopo dieci secondi mi viene la nausea e passo ad altro (ebbene sì, skippo anch'io a quasi sessant'anni): alcuni dei miei dischi preferiti sono passati attraverso questa fase (pochi pochi, ma alcuni clamorosi sì). A volte, infatti, qualcosa mi spinge a continuare e continuo. Così facendo ho scoperto belle cose, alcune mi hanno anche accompagnato per periodi più o meno lunghi, ma - torniamo a bomba - in realtà quello che fa fare il salto di qualità è... quel pezzo lì. Proprio quello. Una volta trovato, mi fa vedere tutto il resto del lavoro sotto una luce diversa e scatena il fan interiore (a quel punto corro il rischio di trascinarmi per anni perdonando montagne di dischi inutili, ma tant'è). Inciso: uno degli altri motivi per cui un gruppo mi incuriosisce sono le cover che fa. Di recente mi sono imbattuto nell'ennesimo collettivo di giovani-inglesi-che-fanno-pop-sofisticato, gli English Teacher. Ho visto che avevano coverizzato gli Smiths e gli LCD Soundsystem e mi son detto: dài? Ho messo su il loro nuovo album This could be Texas e dai primi pezzi mi è sembrato subito interessante, eppure... Ma insomma, lo sbuzzo c'è, vuoi che non abbiano fatto una canzone di quelle che dico io? Avanti con l'ascolto. Sì, bello, ok... mi sto distraendo, ma improvvisamente BOOM! Traccia 9, Nearly daffodils. Ripeto ciò che ho scritto all'inizio: non c'è una logica, i criteri per cui una serie di suoni e rumori entra sottopelle sono totalmente soggettivi e stop (anche se qui sarebbe interessante aprire una parentesi sulle produzioni ipercommerciali, iperderivative e di megasuccesso, non lo farò). Analisi a posteriori: il giro principale ha un bel cambio che sposta, l'armonia in capo al basso è ad un passo dal tecnicismo ma avercene, la chitarra fa un bel lavorino new wave, il modo in cui la funambolica Lily Fontaine declina il ritornello è notevole (in particolar modo lo stacco fra "daffo" e "dils"), ad un certo punto mi ricordano i R.E.M. di Murmur e subito dopo un disco prog del 1972, poi... va beh, basta, bravi.