Esiste un confine pressoché invisibile tra i luoghi comuni e i pregiudizi e, in questi tempi di wokismo più o meno equilibrato, bisogna stare mooolto in occhio. Sarà banale, ma forse ai giorni nostri i Monty Python - per dirne una - non avrebbero potuto esistere. E invece, almeno per me, sono un'istituzione e - Alert! Stereotipo! - sono inglesi, inglesissimi, non avrebbero potuto essere altro che inglesi. Quando l'altra sera a Soliera ha cominciato a piovere e Tyler Hyde dei Black Country, New Road ha chiesto scusa dicendo "It's an english thing" son stato contento perchè l'ha detto lei anticipandomi di un soffio. Son stato contento anche perchè - più che altro - eravamo in prima fila a vederli suonare il loro album Forever Howlong, disco che mi ha abbastanza sbalordito. Sono un fan patologico e faccio il possibile perchè questo non infici la mia capacità di giudizio, ma è dura. Nonostante i primi due lavori (quelli con il cantante originale Isaac Wood) restino due disconi, io ho cominciato a sgranare gli occhi col terzo, Live At Bush Hall, dove fa capolino in modo determinante un elemento pop che a mio parere fa la differenza. Quel live l'ho mandato a memoria e non mi aspettavo l'ulteriore salto in avanti di Forever Howlong: scrittura, arrangiamenti e suoni inappuntabili. La scelta di puntare sulle tre autrici/cantanti Hyde, Kershaw, Ellery (con gli arrangiamenti di tutta la baracca) è vincente perchè la diversità dei loro stili produce un bel caleidoscopio di imbarazzi della scelta. Prog? Rock sperimentale? Fighetti di Cambridge? Ma chi se ne frega, a me ricordano tante cose ma nessuna ci si avvicina: Fiona Apple (certi pezzi di May Kershaw, comunque personalissima), i Beatles in zona doppio bianco (bestemmia?), i Velvet (dove c'è indie ci sono sempre i Velvet), i Sonic Youth (sì, non c'entrano niente, ma nella struttura "a blocchi" di certi pezzi e in certi climax...), il folk bretone "aggiornato", i Radiohead meno cerebrali, insomma mi ricordano roba che mi piace.Questi sono saliti sul palco montando da sè le loro attrezzature (ecco, qui mi hanno ricordato Le Cirque Bidon, non me ne vogliano gli oltremanica) poi hanno suonato un'oretta facendo "solo" il disco nuovo (durante il tour rare le digressioni) e sciorinando una scaletta rimescolata (all'apparenza tirata a sorte) rispetto all' album. Quegli undici pezzi però funzionano in qualsiasi ordine e si sono permessi di attaccare con una roba da pelle d'oca come For the cold country, che chiunque sano di mente piazzerebbe verso la fine della serata. Ah, gli eccentrici inglesi! Mi tornano in mente il momentone indie-freak-country di Two horses (con la Ellery che sembra sempre una capitata lì per caso e invece) e la performance da fiato sospeso di Nancy tries to take the night, dove la Hyde ha rivestito di nuovi significati la parola "intensità". Quando poi hanno cacciato fuori i flautoni (i tenor recorder!) per la performance della title-track, con la Kershaw a fare da maestrina dirigendo gli altri cinque e cantando un testo che più assurdo non si può come se fosse un inno nazionale, quando la pausa di sei secondi prevista nel pezzo è stata "sconsacrata" da uno dei cinque che è ripartito in anticipo e lei ha fatto un sorrisino del tipo "disgraziati, dopo facciamo i conti" ecco, in quel momento lì, in piena sindrome di Stendhal, ho visto questi sei ragazzi innamorati della musica-pop-con-qualcosina-in-più nel bel mezzo di una missione impossibile per traghettarne lo spirito di generazione in generazione, con il loro aplomb tipicamente british (sto calcando la mano appositamente sui cliché, spero sia chiaro) e le loro birrette da palco di periferia e, va beh, insomma, mi son sentito fortunato ad essere lì sotto la pioggia di Soliera, Emilia, United Kingdom. Pioveva: avrei potuto persino commuovermi e non se ne sarebbe accorto nessuno.
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