Corri, corri, corri, poi ogni tanto ti fermi un attimo e dici: ecco. Ecco il senso, ecco il big bang, ecco perchè. È che ci si scorda, tutto qua. Troppa roba per la testa e troppo poca testa per tutta la roba. Vieni a sapere che Halloweed ground ha quarant'anni e dici no, dai, non scherziamo. E ti torna in mente tutto. Che poi non è che sia questo gran che. Cioè, no, non dico che Halloweed ground non sia fondamentale, dico solo che, nel grande schema dell'universo, l'epifanico effetto che ha avuto su di me questo disco dei Violent Femmes (quei tizi di Milwaukee che hanno elevato il buskeraggio ad avanguardia) è sicuramente irrilevante. Del resto, questo si può affermare a proposito di parecchie cose. Però: la somma di un fantastiliardo di cose irrilevanti non potrebbe dare come risultato una - seppur infinitesimale - cosa rilevante? Chi lo sa. Magari è proprio così, e la sezione di Black girls in cui succede di tutto (dallo scacciapensieri ai giocattoli, con John Zorn a briglia sciolta) non potrebbe essere stata determinante nel forgiare le meraviglie del creato? Boh, vabbè, a me ha cambiato la vita. Sì, lo so, lo dico di tante cose, va bene, sono stato fortunato. In un momento in cui una delle mie varie stelle polari (chi ha detto che ce ne debba essere una sola?) era l'ammerika “alternativa”, questi arrivavano cantando inni cristianeggianti à-la-punk (Jesus walking on the water) e donavano una sfumatura epica al cuore nero della campagna in miseria (Country death song). L'energia emanata è talmente contagiosa che te ne freghi di quello che canta quel mattacchione di Gordon Gano: ha comunque ragione lui. Per farmi del male ho cercato sul web recensioni, impressioni ed elucubrazioni su Halloweed Ground e ho trovato di tutto: viene definito “divisivo”, “capolavoro”, “razzista”, “meglio del primo”, “peggio del primo” e via sproloquiando. A un bel momento non ci ho capito più niente e ho fatto l'unica cosa sensata: l'ho riascoltato. Scrivere di musica è come ballare di architettura, no? Perfetto. Fin troppe volte ci si fa intortare (me compreso, ovvio) da parole, accostamenti, carriole di hype. Per tutti c'è stato un tempo in cui le cose succedevano e basta (indicativamente in gioventù) e quel tempo ce lo si porta dietro fino alla fine. C'è chi si ferma lì senza accorgersi di essere un inguaribile nostalgico. C'è chi rinnega tutto “perchè bisogna andare avanti”. C'è chi continua a cercare le stesse sensazioni, a volte invano e a volte no. Fatto sta che - e ora bisogna che stringa perchè non so più dove voglio arrivare - una delle sei-sette canzoni che ogni tanto mi vengono inconsapevolmente in mente tormentone-style è un pezzo di Halloweed Ground: I know it's true but i'm sorry to say. Non so perchè e son contento di non saperlo: per amor di statistica, tra le altre ci sono Just like heaven (Cure), Talk about the passion (R.E.M.), Reel around the fountain (Smiths) e, insomma, i conti pur inconsciamente tornano. E adesso chiedo scusa ma riprendo l'ascolto, prima che sia troppo tardi.
martedì 19 novembre 2024
martedì 5 novembre 2024
I'm a loser, baby
Come elettore di centrosinistra sono abituato a perdere. Anche quando vinco. Già il fatto di dover sempre votare per il “meno peggio” è una sconfitta. La linea di demarcazione fra servizio pubblico e potere personale mi appare sempre più sfumata: forse mi sono svegliato tardi? Boh, mi sa invece che sto ancora dormendo, sognando imperterrito un mondo più “giusto”. Il problema è che quel che è “giusto” per me non lo è per te, e qui casca il povero asino. L'idea che la storia (perlomeno quella occidentale) sia stata un lungo viaggio verso la conquista dei diritti universali è oramai decaduta a causa di un revisionismo figlio della paura incontrollata di perdere la terra da sotto i piedi (ovviamente i miei, dei tuoi chi se ne frega). La crisi climatica? A seconda della convenienza si attribuiscono le colpe a tizio o a caio (spoiler: la colpa è, banalmente, di tutti). La crisi economica? Idem. I fenomeni migratori vengono trattati come un sintomo (e quindi, vai giù duro di antibiotico) e non ci si sbuccia per fare una bella diagnosi come si deve. Diagnosi che forse porterebbe a delle sorprese, tipo che non di patologia si tratta bensì di cura per una società vecchia e malata. Istruzione? Educazione? Libertà di espressione? Non pervenute, o meglio - anche qui – tirate in ballo solo per questioni di comodo. In questo quadro desolante (perlomeno nella mia testa) arrivano LE ELEZIONI AMERICANE, spettacolo quadriennale che mi rammenta con tenerezza i momenti in cui ci si illudeva fossero veramente importanti per tutto il globo. E invece - oplà – grazie alla globalizzazione abbiamo scoperto che l'occidente è minoranza e che, tutto sommato, queste consultazioni sono importanti ma al pari di mille altre robe. Detto questo, richiamando appunto le mie inclinazioni diciamo “progressiste” è chiaro che non potrò mai essere contento in caso di affermazione dell'amico Donald, non foss'altro per le posizioni apertamente pro-aborto dell'amica Kamala. Battaglia di facciata per raccogliere consensi? Boh, fra questa e quella di costruire un bel muro per tenere lontani i migranti cattivi preferisco di gran lunga la prima. In fin dei conti, si vota anche per quello in cui si crede, no? Però mi sa che sta proprio qui il punto; c'è più gente che crede in qualcos'altro. Il futuro non esiste più, quindi si persegue la soddisfazione immediata, fast-food style. Sarà un bene? Sarà un male? E chi se ne frega. Io ultimamente penso spesso allo striscione del Pistoia Basket con scritto: non puoi vincere, al massimo puoi segnare più di noi. Amen.