Piano piano ci sto arrivando: ormai ho quasi capito come funziona. Praticamente, vieni al mondo e cominci a sgomitare per trovare il tuo posto, poi fai il possibile per riprodurti e prima o poi svanisci nel nulla. Col passare degli anni si cambiano idee, compagni di strada, calzini. Per non smarrire la strada e non andare alla deriva ci si aggrappa a qualcosa che, molto spesso, non esiste. Questo particolare però lo si dimentica, ed è difficile accettare che gli altri questo "qualcosa" non lo riescano proprio a vedere, impegnati a loro volta a difendere il fortino dall'assalto dei Malefici Dubbi e della Realtà Brutta e Cattiva. Capita che ci si raggruppi dietro qualche bandiera per paura di sentirsi soli, capita che le moltitudini facciano danni enormi convinte di essere nel giusto. La filosofia ha cercato per secoli di trovare il bandolo di questa intricata matassa, una qualche giustificazione alle cazzate che facciamo: esito molto vicino allo zero, soprattutto per chi non può permettersi l'immane fatica del pensare. Spesso non troviamo niente di meglio che riderci sopra, ognuno con il suo personale senso dell'umorismo. Tipo: una sera, dopo l'ennesimo infruttuoso zapping sui trilioni di titoli Netflix con quelle belle classificazioni tipo "film acclamati dalla critica" o "serie tv con protagonista un ornitorinco", ho deciso di dire basta e mi son messo a guardare per l'ennesima volta "Berlinguer ti voglio bene": all'arrivo della lunga scena delle imprecazioni di Benigni (chi l'ha vista sa di che parlo) ho cominciato a ridere in modo disorganizzato e la mia famiglia mi ha guardato perplessa. Io però sapevo bene quel che stavo facendo e ho fatto tesoro di quel poco di dopamina rilasciata dal mio sottovalutato organismo. Un altro accadimento simile si è venuto a verificare nell'intimità della piazza di Russi, quando durante una recente performance dei Jean Fabry ci siamo abbandonati ad una versione fiume di A message to you, Rudy: travestito da musica di sottofondo (eravamo l'intrattenimento ad una affollata caccia al tesoro sul territorio comunale), in realtà è stato un vero e proprio momento mistico che magari a qualcuno ha rotto un po' le balle ma a me è servito per sentirmi tutt'uno con l'universo. Quasi.
mercoledì 26 febbraio 2020
Quasi
Piano piano ci sto arrivando: ormai ho quasi capito come funziona. Praticamente, vieni al mondo e cominci a sgomitare per trovare il tuo posto, poi fai il possibile per riprodurti e prima o poi svanisci nel nulla. Col passare degli anni si cambiano idee, compagni di strada, calzini. Per non smarrire la strada e non andare alla deriva ci si aggrappa a qualcosa che, molto spesso, non esiste. Questo particolare però lo si dimentica, ed è difficile accettare che gli altri questo "qualcosa" non lo riescano proprio a vedere, impegnati a loro volta a difendere il fortino dall'assalto dei Malefici Dubbi e della Realtà Brutta e Cattiva. Capita che ci si raggruppi dietro qualche bandiera per paura di sentirsi soli, capita che le moltitudini facciano danni enormi convinte di essere nel giusto. La filosofia ha cercato per secoli di trovare il bandolo di questa intricata matassa, una qualche giustificazione alle cazzate che facciamo: esito molto vicino allo zero, soprattutto per chi non può permettersi l'immane fatica del pensare. Spesso non troviamo niente di meglio che riderci sopra, ognuno con il suo personale senso dell'umorismo. Tipo: una sera, dopo l'ennesimo infruttuoso zapping sui trilioni di titoli Netflix con quelle belle classificazioni tipo "film acclamati dalla critica" o "serie tv con protagonista un ornitorinco", ho deciso di dire basta e mi son messo a guardare per l'ennesima volta "Berlinguer ti voglio bene": all'arrivo della lunga scena delle imprecazioni di Benigni (chi l'ha vista sa di che parlo) ho cominciato a ridere in modo disorganizzato e la mia famiglia mi ha guardato perplessa. Io però sapevo bene quel che stavo facendo e ho fatto tesoro di quel poco di dopamina rilasciata dal mio sottovalutato organismo. Un altro accadimento simile si è venuto a verificare nell'intimità della piazza di Russi, quando durante una recente performance dei Jean Fabry ci siamo abbandonati ad una versione fiume di A message to you, Rudy: travestito da musica di sottofondo (eravamo l'intrattenimento ad una affollata caccia al tesoro sul territorio comunale), in realtà è stato un vero e proprio momento mistico che magari a qualcuno ha rotto un po' le balle ma a me è servito per sentirmi tutt'uno con l'universo. Quasi.
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