venerdì 11 maggio 2018
Esce Muzak dagli amplificatori
Avete presente la leggenda dei piccoli negozi di dischi di provincia degli anni ottanta e novanta? Quelli, per intenderci, resi famosi da Nick Hornby (Alta fedeltà) con il loro campionario di musicofili / filosofi / perdigiorno? Ecco: è tutto vero. Posso dirlo con certezza perchè io in uno di questi ci ho passato parecchio tempo, prima dell'internet e dei capelli brizzolati. Questo posto si chiamava come il suo padrone: Muzak. Sulle sportine per i vinili c'era un disegno di Druillet, appeso al muro un quadro con il manifesto di Arancia Meccanica, poi un tavolino con le riviste musicali e delle splendide poltrone a striscie dove sprofondarsi a sparare cazzate. Un po' bar, un po' circolo culturale, un po' riserva indiana. Troppo, per un paesone romagnolo. Io e Roto eravamo gli sbarbini, in quella fauna di amabili snob che conoscevano a memoria le discografie più improbabili e fingevano di non sapere come fare sera. Quanta musica ho scoperto in quel posto! Quanti film! Ogni giorno una piccola epifania, ben nascosta in mezzo ad ore e ore di nulla. Devo molto a quei giorni e devo molto a Muzak, che ci ha lasciati l'altro ieri per andarsene sulla faccia oscura della luna o al Korova Milk Bar. Giù la saracinesca. Titoli di coda. Fine.
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