sabato 13 agosto 2011

It's a small world






Insomma, a Disneyland Paris c'è questa attrazione chiamata It's a small world: trattasi di un viaggio sull'acqua a bordo di barchette in una serie di grotte e gallerie nelle quali si viene travolti da una miriade di pupazzi meccanici in sembianze infantili che rappresentano le varie nazioni ed etnie del globo cantando (ovviamente in playback) una canzoncina simil-Zecchino d'oro sul tema Com'è-piccolo-il-mondo-siamo-tutti-uguali-siamo-tutti-felici. Al di là del fatto che possa essere palesemente condivisibile il "messaggio" di fondo, io (piccolo italiano a Parigi) ci ho visto una (modesta) metafora della Ville lumière e del Vecchio mondo in generale. Disney a dosi massicce può fare questo effetto.
Vabbè, le ferie sono andate. Abbiamo passato nove giorni caotici schizzando con la Metro dal Beaubourg al Jardin des plantes, dalla Halle Saint Pierre alla Cité Des Sciences, ecc. ecc. cercando di riempirci il più possibile gli occhi, la testa e le interiora facendo un po' di scorta per i tempi a venire. Ci è giunta l'eco dei venti di crisi e delle rivolte britanniche ma non ci siamo scomposti, intenti com'eravamo a compiere la nostra missione. Ricordi sparsi: lo show degli oranghi alla Menagérie, lo show della Sofi dentro al Jardin d'hiver di Dubuffet, quei matti di Sekulic e Schroder-Sonnenstern, il video interattivo all'esposizione Des transport et des hommes, la sdentata (sempre della Sofi) sul Pont Neuf, la lotta contre les souris de Paris, la chiacchierata apocalittico-finanziaria con Arco e Francesca, l'abbuffata di BD e chi più ne ha più ne metta. Più di ogni altra cosa, faticherò a cancellare dalla memoria la folla per la splendida mostra dedicata a George Brassens; tutti al cospetto del fantasma, più vivo lui di tutti noi.

martedì 2 agosto 2011

(à suivre)

Si torna a Parigi, nonostante la crisi. Al nostro ritorno l'Italia sarà un paese diverso, lo so. Peccato che saremo cambiati pure noi e non riusciremo ad apprezzare la differenza. Au revoir.

lunedì 1 agosto 2011

I campi da tennis del Tennessee (e le meccaniche celesti)

Tema: Battiato a Cervia. Svolgimento: mi sono divertito molto e spero che mi ci portino ancora. Bello vedere quest'uomo scherzare e snocciolare il suo sconfinato repertorio con aneddoti tipo quello della presentatrice televisiva che loda appassionatamente il verso de La cura "vagavo nei campi da tennis" quando invece si trattava dei campi del Tennessee. Quello che colpisce è l'età del pubblico; dagli infanti ai capelli grigi, e tutti a cantare che manco fossimo al Festivalbar che fu. Comunque ci sta: Battiato ha raggiunto la popolarità di massa a colpi di canzoni orecchiabili nonostante i testi in bilico tra nonsense e misticismo, con vette sublimi nel periodo "classico" Patriots/Cinghiale bianco/Voce del padrone ma con notevoli risultati anche negli anni a venire, pre e post Sgalambro. E pensare che qualche lustro fa era quasi divenuto una caricatura di se stesso, santone con tappeto senza (apparentemente) uno straccio di leggerezza. Ma chi l'ha mai capito, Battiato? E, come al solito: ma cosa c'è da capire? Le canzoni stanno lì, patrimonio dell'Italia canzonettara ma pure degli irriducibili dell'alternativo. E cosa c'è di più bello del trovarsi a cantare tutti in coro come dei coglioni "e il mio maestro mi insegnò com'è difficile trovare l'alba dentro l'imbrunire"?

sabato 16 luglio 2011

Tramonto

Durante il periodo estivo si va per abitudine alla Festa Dell'Unità (o del PD, o Democratica, o quel che è) e, oltre al grande Bonetti, c'è modo di vedersi anche qualche benemerita orchestra di liscio (se il me stesso ventenne fosse qui mi sputerebbe in faccia). A seconda della località c'è modo di apprezzare i non più giovani ballerini di polka e mazurka che, in una sorta di trance svolazzano impavidi in pista incuranti del mondo e delle sue bizzarre leggi. No ma, dico, fra qualche decina d'anni toccherà alla nostra generazione! E cosa ci attende? Balli latini? Cover band di Vasco? Combat folk all'acqua di rose? Voglio proprio vedere. Ad ogni modo, quello del liscio parrebbe un mondo al tramonto. A proposito: quando l'orchestra attacca Tramonto (S.Casadei) mi parte un brivido che manco quando i Pixies attaccano Where is my mind. Fati rob.

martedì 12 luglio 2011

The last living rose

Spesso il tono delle quattro fregnacce che scrivo in questo spazio vira pericolosamente verso il malinconico-mitizzante-rivendicativo; del resto quando ci si ritrova da soli di fronte allo spazio bianco si tende automaticamente ad esorcizzare i fantasmi passati, presenti e futuri, in un continuo esercizio di autoanalisi ed autoaffermazione che, probabilmente, ad un lettore esterno produce l'effetto di fare due maroni così.
Come posso parlare di PJ Harvey senza dare la stura ai sentimenti? Vent'anni di ascolti non sono passati invano, ed è chiaro che andare a vedere la (ex?) ragazza del Dorset in concerto nella Santa Ferrara Sotto Le Stelle non può che portarmi pericolosamente in zona melò. Vorrei però fare uno sforzo e tenere i piedi ben piantati in questo presente che poi così schifo non fa, anzi, tutt'altro: lo splendido Let England Shake dal vivo non perde un grammo del suo valore, grazie anche ad una formazione essenziale ma perfetta (John Parish, Mick Harvey, Jean-Marc Butty).
Sono orgoglioso di ammettere che ero principalmente lì proprio per quest'ultimo disco e per il precedente White Chalk, anche se non posso negare lo scontato ma inevitabile scossone per Angelene. Attorno a me, molta gente pareva invece cercare il mito e forse pure la riot girl che PJ Harvey non è mai stata: ogni qual volta imbracciava l'elettrica il livello di adrenalina saliva alle stelle. E il rock? Per me ce n'è stato un bel po', nonostante il vestito-da-prima-comunione-con-piume-in-testa-e-autoharp. Bello spettacolo da portare in giro, di una professionalità oramai dimenticata e il cui valore non sta negli orpelli ma nella musica e nelle canzoni, come dovrebbe essere sempre.
Ah, mi sono anche divertito come un demente a menarla con la vecchia gag della somiglianza fra Mick Harvey e il Sindaco Claudio Molinari, tanto per farvi capire che non è che fossi ad una funzione religiosa. Quando ci vuole ci vuole, con buona pace della grande vecchia Polly. Stop.

mercoledì 6 luglio 2011

Prossima fermata: Vatnajokull

Il "Vulcano Più Piccolo D'Italia" è un'emissione di gas perennemente ardente che si trova sul Monte Busca, vicino a Tredozio (FC). Potevamo farcelo scappare? Certo che no. Tra l'altro, tutt'intorno campi di grano a perdita d'occhio e un silenzio notevole. Perchè il rumore va più che bene, ma se ogni tanto non si stacca non si riesce più ad apprezzare la differenza. Difatti, scendendo giù siamo incappati in un motoraduno con la cover band hard rock di prammatica, e la differenza io l'ho apprezzata. Per carità, non me ne vogliano i fans dei motoraduni delle cover band hard rock, mi raccomando. Tutti assieme: Highway to hell...

venerdì 1 luglio 2011

Solo una terapia

Serata da reduci per me e Pappi in quel di Carpi alla locale Festa PD, in occasione del concerto di Massimo Zamboni e Angela Baraldi. Che dire? Bello vedersi e contarsi fra il pubblico (mediamente più giovane del previsto), cantando a squarciagola canzoncine come "l'inno nazionale di Carpi" (parole di Zambo) Emilia paranoica e tutte le altre dell'epopea CCCP/CSI (ovviamente più i primi dei secondi). E' chiaro che la situazione non poteva risolversi solo in una allegra serata senza pensieri: il dibattito c'è stato, eccome. Intanto va detto con tutto l'affetto possibile che Zamboni non è un cantante, mentre la Baraldi sì. Brava Angela, non pesante e palesemente divertita nell'interpretare QUEL repertorio. Dal canto mio, il fantasma di Ferretti si è fatto vivo poco o nulla, anche perchè il paragone è impossibile. Poi, un po' meno drammaticità e un po' più di settantasette ci voleva, di questi tempi. Bel gruppo, con Simone Filippi degli Ust alla batteria, Erik Montanari alla seconda chitarra e quel mostro di Cristiano Roversi al basso. Su tutto rimane il senso di "famiglia", reso ancora più palpabile da moglie e figlia di Zambo al banchetto dei cd. Continuare a portare in giro questa roba è encomiabile, non è necessario gridare al sacrilegio o lanciare accuse di mercantilismo: mai come in questo caso è la storia, e non chi la racconta. E se ci scappa la lacrimuccia ce la asciugheremo.