domenica 25 ottobre 2020

Al Diavolo il Fascismo!

Germano Nicolini

Comandante Diavolo 1919 - 2020

giovedì 22 ottobre 2020

La fine è vicina


Pur trattandosi di un evento recente, ho già perso memoria di come diavolo mi sia imbattuto in Phoebe Bridgers. Oramai ci sto facendo il callo: la routine stress-stop-stress-stop mi distrae, mi fa combinare malestri, mi fa perdere il mio beneamato controllo (questo male non fa, ma senza esagerare), lascio in giro pezzi da tutte le parti e quando li ritrovo manco li riconosco. Phoebe Bridgers, dicevo: biondina americanissima con chitarra, tuta da scheletro e un che di - non so - Sufjan Stevens o Paul Simon o Big Star o comunque ci siamo capiti. Brava, belle canzoni emo-indie-folk (questa non me lo sono inventata, l'ho letta in giro e in effetti ci sta) e una lunga strada davanti a sè. Mi sta appassionando in questi tempacci attuali, soprattutto in virtù di un pezzo, l'ultimo del nuovo disco Punisher, che si chiama I know the end. Lo sta suonando nei vari live in streaming da casa o da posti deserti, non manca mai ed è l'ultimo anche nelle scalette. Se deve fare un pezzo solo, spesso fa quello. Ma cosa mi ha colpito  di questo pezzo? Innanzitutto l'anomalia di essere una piccola suite in tre movimenti: parte come le sue altre canzoni a cuore aperto, poi succede qualcosa di strano, diventa una giostra con un giro di accordi in crescendo semplice ma efficace nel creare il climax finale preannunciato dalle parole "the end is near", arrivano chitarre elettriche, fiati abbastanza apocalittici e soprattutto delle urla liberatorie a squarciagola che manco la buonanima di Kurt Cobain. Solitamente, concluso il pezzo, Phoebe Bridgers appare vocalmente piuttosto provata e ansimante ma sempre col suo sorrisone da chi sa bene come andarsi a casa. Potrebbe anche sembrare tutta una roba piuttosto velleitaria e gratuita, ma io invece (che ci casco facilmente) sono stato conquistato soprattutto dalla volontà di dare visibilità alla cosa, anche rischiando di disorientare i fans - diciamo così - meno inclini al situazionismo. Catarsi? Rito purificatorio? Esorcismo? Voglia di riprendersi la propria gioventù (per chi può) interrotta dal virus? Canzone-simbolo del 2020, direi.

domenica 13 settembre 2020

In bocca a Zio Lupo

 

Oltre ai dischi volanti e ai folletti esistono anche le macchine del tempo. Dico questo perchè altrimenti non sono in grado di spiegare nell'anno di disgrazia 2020 un concerto dei Capra & Cavoli, cioè i Jean Fabry versione "musica per bambini". La cosa è apparentemente avvenuta a Bagnacavallo in uno splendido pomeriggio di fine estate al locale orto botanico "Il giardino dei semplici", grazie a Margherita e a Verde Brillante. Sembra sia stato tutto molto divertente: io e Marlo abbiamo ridato vita a quel folle progetto di inizio anni dieci che ci aveva trasformati in una sorta di local heroes cantando canzoncine su camaleonti, pipistrelli, gatapozle e persino Zio Lupo. Il protagonista della fiaba romagnola inserita da Calvino nelle Fiabe italiane si è materializzato anche ieri grazie agli incongrui ululati del Marlo coinvolgendo gli astanti in un catartico rito collettivo. Chissà: magari l'invito a non prendere in giro Zio Lupo sensibilizzerà qualcuno a non sottovalutare il minuscolo animaletto che in questo triste periodo tiene in scacco il genere umano, rivelando tutti i nostri limiti e la fragilità del nostro tessuto sociale, mai come ora lacerato da interessi di parte, deresponsabilizzazioni e ridicole cacce all'untore. Domani in Italia riaprono le scuole, i luoghi dove si dovrebbe formare l'umanità del futuro, intrappolate fra (sacrosanti) protocolli sanitari e macchinose procedure burocratiche. In bocca a Zio Lupo a tutti, e che l'axolotl ce la mandi buona.

domenica 30 agosto 2020

Cercalo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si può essere equilibrati e corretti scrivendo un blog? Voglio dire, il narcisismo e l'onnipotenza sono l'essenza stessa dei social e del web in generale, quindi la cosa appare piuttosto contraddittoria. Però, dato che questo piccolo spazio ricopre per me un ruolo sia ricreativo che terapeutico (come la musica che ascolto e faccio, del resto), ci proverò per coerenza nel percorso di cura. Ogni anno dal 2010 i Jean Fabry vengono invitati dall'associazione Il Cerbero ad esibirsi al Festival Delle Arti di Cervia (per amicizia e reciproco apprezzamento delle personali attività) e neanche nell'anno della pandemia è stata fatta eccezione. Chiaramente l'impatto si è sentito eccome, ma tutto sommato la resistenza pare stia dando i suoi sudati frutti e, nonostante la fatica si faccia sentire anche per gli anni che non diminuiscono (primo concerto con gli occhiali: è l'inizio della fine) posso dire a mente fredda che ne è valsa la pena. Se ce la fate, fate cose come queste e starete meglio, davvero. L'argomento di quest'anno era la visionarietà di Fellini e ho ben pensato di iniziare con una squallida gag sull'equivoco Fellini / felini, perciò primo pezzo la vecchia e ingiustamente dimenticata Il nome giusto da dare ai gatti. Poi, vabbè, "classici", cover, roba nuova e il solito salvifico intervento del Sindaco Molinari (con nipote al seguito). In negativo: problemi tecnici col nostro ridicolo impianto (tutte le volte mi dico: mai più, service e fonico o niente), guazza sopra il livello di guardia (eravamo a ridosso del bellissimo ma umidissimo porto canale), solita guitteria a coprire malamente scivoloni dovuti alle prove evidentemente insufficienti e qualcos'altro che ho rimosso per pietà. In positivo: il tema di "8 e 1/2" eseguito da Molinari al kazax proprio a metà del nono pezzo in scaletta (forse solo noi potevamo avere il fegato), una catartica L'imperatore della piadina (forse dovremmo farla più spesso), Son la mondina son la sfruttata e Parallelo con la Rosanna Emmi (padrona di casa Cerbero con Francesca e Silvana) e l'omaggio a Zagor Camillas con la loro Banana bullone. I pezzi nuovi (che faranno parte del prossimo ep) sono stati l'immancabile canzone Covid (Almeno), un inno al riciclaggio materiale e spirituale (Riciclami) e Cercalo, utilizzata anche come titolo della serata. L'invocazione era atta al cercare "il fantastico nel quotidiano" (come facciamo da sempre), ma alla fine di tutto quanto ho capito che quello che va cercato insistentemente è il senso, in primis da me medesimo. Ho capito soprattutto che nonostante gli scazzi, le frustrazioni e l'apparente incomprensibilità di quello che io Pappi e Marlo offriamo agli astanti, quando questi ultimi ci comunicano di essersi divertiti si capisce l'importanza del nostro piccolo ruolo nell'universo.

martedì 23 giugno 2020

Like a rolling Stendhal

Buongiorno, ragazzi. Oggi parleremo della sindrome di Stendhal, cioè di quella particolare reazione scatenata dalle opere d'arte quando ci si trova al loro cospetto. L'effetto si può collocare in un range che va grosso modo dalla forte emozione fino allo scompenso psichico: se volete saperne di più (o di meno) guardate qui e buona notte. A noi interessa soprattutto parlarne in riferimento all'ascolto di dischi, cioè album, cioè musica pop-rock-indie-quello che volete, perchè ogni tanto a me è successo qualcosa di simile, ecco. State seduti e non fate casino, non me ne frega niente se trovate l'argomento noioso. Sono previste verifiche e interrogazioni, quindi: occhio. Dicevamo: a me, che di musica ne ascolto tanta, normalmente con un disco può succedere che:
1) al primo ascolto non mi dice niente e magari non lo riascolterò mai più;
2) al primo ascolto non mi dice quasi niente e spesso, grazie a quel quasi gli concedo un'altra chance e: o mi prende, o mi accorgo che mi ero sbagliato e ciao;
3) al primo ascolto mi annichilisce e alla fine mi ritrovo fra il confusionale e l'estasiato senza saper bene che dire o fare.
Uno di questi casi ben impresso della mia memoria riguarda il primo impatto con Rid of me di PJ Harvey (1993): sarà stata l'ansia anticipatoria, sarà stata la produzione di quell'animale di Steve Albini, fatto sta che dopo l'ultima traccia era come se fossi stato investito da un camion (e mi piaceva). Nel corso degli anni ci sono stati altri momenti-Stendhal (anche coi film, per dire) e recentemente me ne son capitati ben due, vuoi per lo stress da Covid-19, vuoi per la solita tiritera dell'età che avanza, vuoi perchè magari certi album sono belli e basta (e non solo perchè lo dice Pitchfork).

Fiona Apple - Fetch the bolt cutters

L'ho conosciuta col lavoro precedente e devo dire che, a tutt'oggi, le robe vecchie non le ho ancora sentite. E' come se non ne avessi bisogno, The idler wheel mi è bastato (nella miglior accezione del termine). Aspettavo prima o poi un lavoro nuovo ma le varie notizie giunte nel corso degli anni non lasciavano trapelare niente di buono. Poi, eccolo qua. Suoni crudi, rumori casalinghi, colori che vanno e vengono, questa che canta pop e blues come se fosse tarantolata, in uno stato febbrile, urgente, se ne frega dei formalismi e prosegue l'invenzione di un linguaggio tutto suo (come per me dovrebbe essere SEMPRE): non sono neanche troppo blasfemi gli accostamenti fatti da qualche recensore col John Lennon di Plastic Ono Band e col Tom Waits di Swordfishtrombones. Con quel modo di cantare potrebbe dire qualsiasi cosa, ma alcune parole restano particolarmente impresse: "Dàmmi dei calci da sotto il tavolo quanto ti pare, tanto non me ne starò zitta", "Passami le tronchesi, son (bloccata) qua da troppo tempo", "mi espando come le fragole, vado in su come i piselli e i fagioli", "io e te siamo come una coppia di cosmonauti, solo con più gravità di quando siamo partiti" e via dicendo (a scanso di equivoci, comunque, ribadisco la mia idea generale: mai disgiungere testo e musica). Grazie Fiona, bella scossa, mi ci voleva proprio.

Bob Dylan - Rough and rowdy ways

Per molti Bob Dylan è IL MITO, per altri un fastidioso rumore di fondo. Per me rappresenta il Big Bang della musica che mi piace ascoltare, considerando come minimo i tre dischi della svolta elettrica dal 1964 al 1966. Non tutto è intoccabile da lì in poi (eufemismo) e l'ultimo album che mi aveva detto qualcosa era Time out of mind (1997). Negli anni a seguire tanto rispetto per il suo passato e... un Nobel. Quando ormai secondo me nessuno se lo aspettava più è sbucato questo disco qua. Pezzi molto lunghi, dilatati, ripetitivi musicalmente ma tenuti costantemente vivi da un gruppo di "suonatori" partecipi e sotto l'influsso di qualche imprecisato incantesimo. Si può trovare senz'altro un paragone con l'ultimo Nick Cave, con Mark Kozelek o con... Bob Dylan. Anche se quest'uomo è sempre stato un maestro nel dire la verità fingendo, qualcosa di molto simile alla sincerità trabocca da tutte le parti e quella voce (che non nasconde gli affronti del tempo, anzi li valorizza) riesce a colpire nel segno sia che pronunci parole anonime o le miriadi di nomi più o meno famosi citati nei torrenziali testi, in parte flusso di coscienza, in parte necessità espressiva. Alla fine capisci che ti ha fregato un'altra volta, come faceva ai tempi belli dell'uomo tamburino o delle visioni di Johanna, e ringrazi il destino per averti fatto godere di una grande opera d'arte, lasciandoti imbaluchito proprio come il povero Stendhal.

venerdì 12 giugno 2020

On your mark

On your mark, get set, go. In italiano viene tradotto (male, come al solito) con "pronti, partenza, via". A me interessa soprattutto la prima parte, quell'On your mark che vuole dire "al vostro posto". Ecco, sarà l'età, saranno le normali fatiche della vita, ma mi rendo sempre più conto di quanto sia difficile trovare "il mio posto", inteso più che altro come "la mia posizione", o meglio "la mia opinione", cioè dove mi colloco rispetto a questa o a quell'altra questione. Non riesco mai ad essere deciso, mi viene sempre naturale ponderare i pro e i contro, e alla fine mi trovo sorpassato da chi per impulsività (o addirittura: sicurezza!) sceglie al volo da che parte stare e cammina spedito per la sua strada senza tanti patemi. Ma come si fa a schierarsi di getto pro o contro una delle innumerevoli e complesse istanze che la convivenza umana solleva quotidianamente? Non sto parlando di "esistono gli extraterrestri?" o di "meglio la montagna o il mare?", ma di roba un pelo più urgente, tipo se sia giusto o meno tirare giù le statue degli schiavisti o se i diritti dei transgender rischino di indebolire la condizione femminile, o magari se sia di competenza governativa o regionale instituire una zona rossa per la pandemia, o se sia giusta sempre e comunque la scuola in presenza piuttosto che le videolezioni, eccetera. Tutta roba fresca di cronaca (giugno 2020, calendario gregoriano) su cui ho sicuramente un orientamento, che comunque porta con sè molti dubbi e su cui troverei difficile alzare la manina per un sì o un no netti e inequivocabili. Sono io ad essere troppo pavido e insicuro? O, peggio ancora, mi sto inconsciamente deresponsabilizzando? Certo, quand'ero giovine le cose erano bianche o nere, era più facile. Cos'è adesso, ho acquisito finalmente la famosa saggezza? Mah! Intanto, non credo che sarei in grado di dare consigli a nessuno, mi sento impotente e annichilito da certe vedute assolute e non provo neanche particolare invidia per chi riesce a non arrovellarsi troppo le meningi e andare spedito. La riflessione non pare più essere una qualità. E poi, certo: "Solo gli imbecilli non cambiano mai opinione (Honoré Gabriel Riqueti De Mirabeau)", però a volte anche la coerenza ha un suo perchè. E' anche vero che: "Nulla è assoluto e tutto è relativo (Albert Einstein)" e che "Errare humanum est, perseverare autem diabolicum (Brocardo)". Ma aspetta un attimo: veramente sto andando avanti ad aforismi? Basta così. Get set! Go!

giovedì 14 maggio 2020

Le balene volanti

Il primo a vedere le balene volanti fu un tipo di Bagnacavallo. Se ne stava sul balcone a fumarsi una paglia, fissando il cielo senza convinzione, quando all'orizzonte lentamente si stagliò la sagoma di un cetaceo fluttuante in direzione nord. Era sufficientemente lontano per non essere motivo di qualsiasi preoccupazione ma abbastanza vicino da risultare ben identificabile. Volendo essere specifici si trattava chiaramente di una megattera di due-tre tonnellate a circa dieci chilometri di altezza, toh. Pian piano svanì dietro i palazzi e il tipo di Bagnacavallo se ne tornò in casa, che si era fatta ora di cena.
Qualche ora dopo irruppe sui social il video di una ragazzina coreana in cui si vedeva chiaramente una coppia di capodogli in volo sul mare. Il governo giapponese mandò dei droni, che confermarono con estrema precisione quello che stava succedendo. Da lì a poco gli avvistamenti si moltiplicarono in tutto il pianeta e la giostra celeste si arricchì di protagonisti sempre nuovi tra lo sconforto degli scienziati, che non sapevano che pesci pigliare. Gli enormi mammiferi (ché di questo si trattava, non di pesci) parevano in ottima forma e tra la meraviglia generale si misero pure a cantare. A modo loro, ovviamente. Qualcuno riuscì anche a filmare il momento in cui emergevano imponenti dalle acque per librarsi in aria, veri e propri dirigibili viventi. Gruppi di ecologisti mistico-modaioli cominciarono a riunirsi in luoghi isolati per ascoltare il canto delle balene in transito. Qualche macellaio senza scrupoli si mise a pensare ad un nuovo sistema di caccia, a cannonate. Le religioni si arrabattarono per dare un senso alla faccenda, portando ognuna l'acqua al suo consueto mulino. Tutti i grandi brand commerciali infilarono balene nelle loro strategie di marketing, inflazionando il mercato con la solita corsa all'omologazione travestita da originalità. I mondi dell'arte e della cultura produssero molto materiale, quasi tutto pessimo. E la politica? Da una parte si plaudeva sterilmente al "coraggio del nuovo", dall'altra si alimentava la paura del cambiamento. Come sempre.
Le balene continuarono imperterrite a girovagare nei cieli senza apparente meta fino a quando non ci si scordò di loro. A quel punto, senza dare troppo nell'occhio, si diressero una ad una verso l'alto, oltrepassarono l'atmosfera e se ne andarono. La gente subito non ci fece nemmeno caso, poi ci fu qualche giorno di moderato panico e alla fine basta, chi se ne frega delle balene.
Qualche tempo dopo, in una notte di luna nuova, il tipo di Bagnacavallo uscì sul balcone disturbato da un gatto in amore particolarmente molesto. Cercò di individuarlo nel vicolo sottostante ma non ce n'era traccia. Alzò poi gli occhi in direzione dei miagolii e lo vide là, svolazzante sopra le case, leggero come l'aria: era un bell'esemplare di soriano dalla faccia imperturbabile. Preso atto della cosa, il tipo di Bagnacavallo se ne tornò in casa e si rimise a letto.