lunedì 30 dicembre 2024

Tre per otto ventiquattro

L'altra sera, nel bel mezzo di una turbolenta discussione sul K-Pop... No, aspetta, urge una immediata precisazione: se si fanno discussioni sul K-Pop (o sull'AI, che è l'altro topic "caldo" e se uno è un po' complottista sa bene che sono collegati) vuol dire che siamo mooolto fortunati, vista l'aria che tira. Fine precisazione. Dicevo: l'altra sera, nel bel mezzo di una turbolenta discussione sul K-Pop, ho avuto modo per l'ennesima volta di testare alcune mie "incrollabili" certezze riguardo al rapporto con la musica. A farla breve, non ci sono stati stravolgimenti clamorosi. Resta sempre chiaro che uno ascolta quello che gli piace, e ciò che gli piace è legato ad una miriade di fattori personali che portano ad una unica conclusione: mai pensare che la "tua musica" è quella buona e gli altri ascoltano solo merda. Detto questo, a beneficio della mia usuale necessità di inscatolare l'universo, è giunto il momento di fare la lista degli ascolti 2024. Per un attimo sono impazzito del tutto e mi ero messo in testa di fare anche il listone dei primi venticinque anni del secolo, poi ho fortunatamente desistito perchè scorrendo le liste degli anni passati mi sono accorto che un bel po' di roba non sapevo MANCO COSA FOSSE. Ops. Appuntamento alla fine degli anni venti, magari. Ecco tre blocchi in ordine di piazzamento, ognuno in ordine alfabetico.


Primi

Kim Deal - Nobody Loves You More
Billie Eilish - HIT ME HARD AND SOFT
English Teacher - This Could Be Texas
Beth Gibbons - Lives Outgrown
Marika Hackman - Big Sigh
Margaux - Inside The Marble
The Cure - Songs Of A Lost World
Vampire Weekend - Only God Was Above Us

Secondi

Katie Gavin - What A Relief
Kim Gordon - The Collective
Il Sogno Del Marinaio - Terzo
Alan Sparhawk - White Roses, My God
The Hard Quartet - The Hard Quartet
The Smile - Wall Of Eyes + Cutouts
Underworld - Strawberry Hotel
Nilufer Yanya - My Method Actor

Contorni

Idles - TANGK
King Hannah - Big Swimmer
Lambrini Girls - You're Welcome
Melt Banana - 3+5
O. - Weirdos
Pixies - The Night The Zombies Came
Pylon Reenactment Society - Magnet Factory
X - Smoke & Fiction

giovedì 26 dicembre 2024

Scatole

Mentre mi accingevo a differenziare i rifiuti post-natalizi, non ho potuto fare a meno di notare che la maggior parte di essi era costituita da scatole di cartone. Codeste scatole erano ovviamente quelle relative agli acquisti online, cioè il fulcro della cosiddetta civiltà occidentale. Come frequentemente mi capita, quando sono in zona cassonetti vengo travolto da lancinanti dubbi filosofici chiedendomi cosa sto facendo, qual'è il mio ruolo nel mondo e chi cazzo lascia il rusco FUORI dal cassonetto invece che DENTRO al cassonetto. La mia misantropia si è oramai stabilizzata su "discreta" e oscilla fra general-generiche profezie di imminente estinzione e botte visionarie di futuri in cui il lupo e l'agnello vanno in vacanza assieme (e tornano entrambi vivi). Oggi però, purtroppo sono sul grigio andante e a scopo terapeutico butterò giù due allegre righe di lamento gratuito farcito di luoghi comuni. Pronti? Via! Volendo, non c'è bisogno di accedere alle molteplici fonti di informazione per sapere cosa-succede-nel-mondo: è sufficiente, in questa benedetta isola felice, buttare un occhio ai bidoni davanti a casa. Molto istruttivo. Intanto emerge subito che, a parte gli accumulatori seriali, la ggente COMPRA e BUTTA a ciclo continuo. Dice, bene così si crea occupazione. No, sono ormai decenni che l'occupazione non è qui, bensì in posti dove la schiavitù è ancora un valore fondante. Dice, beh tanto si ricicla. Certo, si ricicla se differenzi per bene altrimenti tocca bruciare tutto, possibilmente in modo illegale nei posti di cui sopra. Dice, eh però spesso le confezioni dei prodotti sono multimateriale ed è complicato separare tutto. Vero, allora certe cose magari proviamo a lasciarle sugli scaffali che forse la capiscono. Il problema è che se non c'è un qualsiasi guadagno prima di subito, nessuno fa il virtuoso e vincono comodità e dipendenza compulsiva: la famosa fidelizzazione del cliente è praticata sia dalle multinazionali che dal pusher dietro l'angolo. Ma torniamo alle scatole vaganti: siamo sicuri che 'sto sistema possa essere sostenibile ancora a lungo? Il giochino dei resi ("al massimo lo ridiamo indietro") rende ancora più appetibile cliccare per procedere all'acquisto. Dice: così non inquino andando in giro per negozi. Tranquilli, ad inquinare ci pensano i corrieri. Poi i negozi chiudono e i centri storici diventano finalmente delle Disneyland per turisti in cui è sufficiente piazzare i soliti quattro brand internazionali di fast food, che se ti distrai un attimo non capisci più se sei a Napoli o a Stoccolma. Per i nostalgici si possono ammucchiare un po' di punti vendita nei centri commerciali, però poi anche se ti rechi di persona in un negozio, non è raro che il commesso ti dirotti più o meno velatamente verso l'e-commerce. Oh, vien da dire che forse questa sia la logica conclusione della civiltà dei consumi: tutto a portata di polpastrello o comando vocale, prezzi folli accettati passivamente, quantità industriali di rusco nascoste sotto il tappeto, eccetera. In tutto questo va tenuto presente che noialtri bipedi senza piume e con poco pelo siamo otto miliardi e stiamo continuando a riprodurci forsennatamente. Magari questa cosa non avviene nel (sempre più) vecchio occidente, bensì (con sommo dispiacere di qualcuno) a un tiro di schioppo - letteralmente - da qui ed è sempre più frequente (e logico) trovarsi alla porta qualche "vicino" che bussa perchè ha finito il sale o lo zucchero. Le guerre, le pestilenze e le catastrofi climatiche non sono sufficienti a rallentare l'antropizzazione (che bella parola, sembra una malattia) quindi aspettiamoci a breve il patacca di turno che costruisca sulla luna qualche resort per miliardari. Ma niente paura: non si dimenticheranno della Madre Terra e ci regaleranno costantemente i loro rifiuti, così ogni volta che mi troverò davanti ad un cassonetto avrò modo di dedicar loro un affettuoso pensiero mentre mi libero di qualche scatola vuota. Idea: e se le facessero commestibili? La butto lì.

domenica 24 novembre 2024

Sotto l'ala di Baracca

Mentre il mondo dei grandi va discretamente a rotoli, alcuni piccoli umani della Bassa Romagna hanno assistito ad una performance del famoso gruppo Capra & Cavoli in quel di Lugo. Assente Marlo, io e Pappi abbiamo fatto del nostro meglio con camaleonti, pipistrelli, gatapozle e tirintoppete vari. Il pubblico è stato coinvolto in una serie di ululati liberatori in onore di Zio Lupo e nei bis di rito c'è stato addirittura spazio per il grande ritorno del piccolo axolotl. Qualche ex-bambino ha richiesto I pappi dei pioppi (dal repertorio Jean Fabry) e figurati se non abbiamo colto l'occasione di fare un po' di sano situazionismo. Va rimarcato il fatto che, trovandoci alfine nei pressi del famoso monumento (l'ala) all'aviatore Baracca, non ci siamo fatti mancare nessun inside joke tirandolo impietosamente in ballo per Cavallino arrò arrò (sulla fiancata del velivolo aveva il quadrupede che poi sarebbe diventato simbolo Ferrari), Pimpirulin (col suo aeroplano di mezzanotte), I'm a little airplane di Jonathan Richman e - ça va sans dire - Sotto il ponte di Baracca. I bambini (come sempre) siamo noi e aspiriamo ad un futuro senza eroi di guerra, con buona pace del lughese Francesco.

 

martedì 19 novembre 2024

Dischi importanti: Violent Femmes - Halloweed ground

Corri, corri, corri, poi ogni tanto ti fermi un attimo e dici: ecco. Ecco il senso, ecco il big bang, ecco perchè. È che ci si scorda, tutto qua. Troppa roba per la testa e troppo poca testa per tutta la roba. Vieni a sapere che Halloweed ground ha quarant'anni e dici no, dai, non scherziamo. E ti torna in mente tutto. Che poi non è che sia questo gran che. Cioè, no, non dico che Halloweed ground non sia fondamentale, dico solo che, nel grande schema dell'universo, l'epifanico effetto che ha avuto su di me questo disco dei Violent Femmes (quei tizi di Milwaukee che hanno elevato il buskeraggio ad avanguardia) è sicuramente irrilevante. Del resto, questo si può affermare a proposito di parecchie cose. Però: la somma di un fantastiliardo di cose irrilevanti non potrebbe dare come risultato una - seppur infinitesimale - cosa rilevante? Chi lo sa. Magari è proprio così, e la sezione di Black girls in cui succede di tutto (dallo scacciapensieri ai giocattoli, con John Zorn a briglia sciolta) non potrebbe essere stata determinante nel forgiare le meraviglie del creato? Boh, vabbè, a me ha cambiato la vita. Sì, lo so, lo dico di tante cose, va bene, sono stato fortunato. In un momento in cui una delle mie varie stelle polari (chi ha detto che ce ne debba essere una sola?) era l'ammerika “alternativa”, questi arrivavano cantando inni cristianeggianti à-la-punk (Jesus walking on the water) e donavano una sfumatura epica al cuore nero della campagna in miseria (Country death song). L'energia emanata è talmente contagiosa che te ne freghi di quello che canta quel mattacchione di Gordon Gano: ha comunque ragione lui. Per farmi del male ho cercato sul web recensioni, impressioni ed elucubrazioni su Halloweed Ground e ho trovato di tutto: viene definito “divisivo”, “capolavoro”, “razzista”, “meglio del primo”, “peggio del primo” e via sproloquiando. A un bel momento non ci ho capito più niente e ho fatto l'unica cosa sensata: l'ho riascoltato. Scrivere di musica è come ballare di architettura, no? Perfetto. Fin troppe volte ci si fa intortare (me compreso, ovvio) da parole, accostamenti, carriole di hype. Per tutti c'è stato un tempo in cui le cose succedevano e basta (indicativamente in gioventù) e quel tempo ce lo si porta dietro fino alla fine. C'è chi si ferma lì senza accorgersi di essere un inguaribile nostalgico. C'è chi rinnega tutto “perchè bisogna andare avanti”. C'è chi continua a cercare le stesse sensazioni, a volte invano e a volte no. Fatto sta che - e ora bisogna che stringa perchè non so più dove voglio arrivare - una delle sei-sette canzoni che ogni tanto mi vengono inconsapevolmente in mente tormentone-style è un pezzo di Halloweed Ground: I know it's true but i'm sorry to say. Non so perchè e son contento di non saperlo: per amor di statistica, tra le altre ci sono Just like heaven (Cure), Talk about the passion (R.E.M.), Reel around the fountain (Smiths) e, insomma, i conti pur inconsciamente tornano. E adesso chiedo scusa ma riprendo l'ascolto, prima che sia troppo tardi.

martedì 5 novembre 2024

I'm a loser, baby

Come elettore di centrosinistra sono abituato a perdere. Anche quando vinco. Già il fatto di dover sempre votare per il “meno peggio” è una sconfitta. La linea di demarcazione fra servizio pubblico e potere personale mi appare sempre più sfumata: forse mi sono svegliato tardi? Boh, mi sa invece che sto ancora dormendo, sognando imperterrito un mondo più “giusto”. Il problema è che quel che è  “giusto” per me non lo è per te, e qui casca il povero asino. L'idea che la storia (perlomeno quella occidentale) sia stata un lungo viaggio verso la conquista dei diritti universali è oramai decaduta a causa di un revisionismo figlio della paura incontrollata di perdere la terra da sotto i piedi (ovviamente i miei, dei tuoi chi se ne frega). La crisi climatica? A seconda della convenienza si attribuiscono le colpe a tizio o a caio (spoiler: la colpa è, banalmente, di tutti). La crisi economica? Idem. I fenomeni migratori vengono trattati come un sintomo (e quindi, vai giù duro di antibiotico) e non ci si sbuccia per fare una bella diagnosi come si deve. Diagnosi che forse porterebbe a delle sorprese, tipo che non di patologia si tratta bensì di cura per una società vecchia e malata. Istruzione? Educazione? Libertà di espressione? Non pervenute, o meglio - anche qui – tirate in ballo solo per questioni di comodo. In questo quadro desolante (perlomeno nella mia testa) arrivano LE ELEZIONI AMERICANE, spettacolo quadriennale che mi rammenta con tenerezza i momenti in cui ci si illudeva fossero veramente importanti per tutto il globo. E invece - oplà – grazie alla globalizzazione abbiamo scoperto che l'occidente è minoranza e che, tutto sommato, queste consultazioni sono importanti ma al pari di mille altre robe. Detto questo, richiamando appunto le mie inclinazioni diciamo “progressiste” è chiaro che non potrò mai essere contento in caso di affermazione dell'amico Donald, non foss'altro per le posizioni apertamente pro-aborto dell'amica Kamala. Battaglia di facciata per raccogliere consensi? Boh, fra questa e quella di costruire un bel muro per tenere lontani i migranti cattivi preferisco di gran lunga la prima. In fin dei conti, si vota anche per quello in cui si crede, no? Però mi sa che sta proprio qui il punto; c'è più gente che crede in qualcos'altro. Il futuro non esiste più, quindi si persegue la soddisfazione immediata, fast-food style. Sarà un bene? Sarà un male? E chi se ne frega. Io ultimamente penso spesso allo striscione del Pistoia Basket con scritto: non puoi vincere, al massimo puoi segnare più di noi. Amen.

mercoledì 30 ottobre 2024

Èmotivo

Nell'anno del trentennale un piccolo EP dei Jean Fabry registrato da Duna l'anno scorso. A parte il mix "folk" di Spalàta (tornata tristemente di attualità) due pezzi nuovi: Èmotivo e La sonda lambda. Il primo un rocksteady lento e minimale (sì, vabbè, diamo poi sempre dei nomi alle cose anche quando non serve) pieno di parole che a prima vista non dicono niente ma probabilmente avevano originariamente l'intenzione di essere autobiografiche per poi perdersi in calembours da quattro soldi tanto per cantare. Fondamentale Giulio alle teste di moro. Il secondo pezzo ha a che fare con i segnali (spesso inascoltati) che il nostro organismo ci manda quando l'età avanza. Sul finale, la puerile interpretazione di una intelligenza artificiale in modalità "sono più brava di voi". Bel riff rock anni settanta eseguito dal basso del sindaco Molinari, che è sempre più avanti di tutti (e infatti i settanta li ha già da un pezzo). Dopo i regolamentari e i rigori, cosa resta dei Jean Fabry? Non si sa, si vedrà.

giovedì 12 settembre 2024

Dischi importanti: Portishead - Dummy

Una volta, da queste parti, erano tutte chitarre. Da quelle fricchettone a quelle grattuggiate, fino a quelle che ululavano dentro e fuori dagli amplificatori. Qualche sporadica tastiera, pianoforti da ballad, batteria elettronica dimenticata in soffitta (ma che tornava buona in assenza di batteristi, perchè quelli che c'erano erano tutti o metal o funky). Era difficile per quelli come me avvicinarsi all'hip-hop, ai campionamenti, alle atmosfere -aaaargh!!!- jazzate, a mondi apparentemente alieni e incomprensibili. La prima volta che sentii i Portishead fu alla radio, credo Rai: misero su Sour times e io - raffinatissimo conoscitore di musica - li accostai incomprensibilmente a Tom Waits, anzi addirittura a qualche maldestro imitatore. Non so perchè e tuttora non l'ho capito, fatto sta che però nel giro di poco le cose cambiarono, fuori e dentro di me. Le chitarrazze grunge erano diventate il mainstream, c'era nell'aria un rigurgito di magniloquenza rock e un certo tipo di mondo andò in mille pezzi assieme al povero Kurt Cobain. Era il momento di aprirsi, o chiudersi per sempre. La mia fortuna fu Dummy. Senza rinnegare le mie radicate passioni allargai un filo gli orizzonti, aiutato comunque dal retrogusto indie-nerd del combo di Bristol: Barrow era uno smanettone creatore di mondi, Utley il perfetto chitarrista per film di spionaggio di serie Z e Gibbons una sirena dall'oltretomba. Sdoganarono tutto un mondo sotterraneo che pareva scomparso e invece era sempre lì (IL THEREMIN!!!) appaiandolo ai sampler e a ritmiche street più consone ad un bel flow incazzato, più che ad una novella Billie Holiday raggomitolata al microfono come per scomparirci dentro. Fondamentalmente roba notturna, anche se forse mi faccio fuorviare dalle mie personali esperienze. Ricordo con la pelle d'oca il festival di Reading 1995, quando nonostante non fossero in cartellone erano la colonna sonora della tendopoli festivaliera nel buio albionico. Dummy fu un successo trasversale, forse proprio per aver sdoganato certe atmosfere apparentemente meno "ribelli" e provocatorie, dando i natali al famigerato trip-hop, etichetta buona per gli aperitivi ma che fondamentalmente era riconducibile esclusivamente ai lavori di un gruppo di artisti di Bristol dei primi anni novanta (Massive Attack, Tricky e - appunto - Portishead). Dentro al disco si trovano - a pacchi - creatività, anticonformismo e tempeste emotive che il grosso del "rock" contemporaneo aveva perso per strada già da mo'. Lo scratch di Strangers (parossistico dal vivo grazie a DJ Andy Smith), i blues da aurora boreale Wandering star e Roads, la quasi-hit Glory box: il disco è un viaggione dall'inizio alla fine. Ah, anche i coevi remix sono uno più bello dell'altro. Come? È roba per depressi? Beh, a me sembra uno splendido antidepressivo, invece. E fa persino ballare, cosa testata personalmente durante le tre volte in cui ho avuto la fortuna di vederli dal vivo. Dopo Dummy, un secondo album altrettanto riuscito (ma senza effetto sorpresa) e un terzo inaspettato sia come tempi (ormai non ci sperava più nessuno) che come contenuti (altri mirabolanti universi). Intanto, la stella vagabonda continua imperterrita a brillare.