Ogni tanto mi faccio prendere dall'entusiasmo e mi butto senza vergogna. Sono viaggi spazio-temporali non adatti ad uno della mia età, ma tutto sommato il più delle volte ne esco bene. Per dire, l'altro giorno ad un certo punto mi son trovato a vagare per le vie sottostanti al Sacro Cuore di Parigi in cerca di uno straccio di spuntino vegetariano (non dico vegano perchè, insomma, en France oeufs et fromage fanno parte della formula chimica dell'aria da respirare) e, trovato uno squallido sandwich sono tornato alla mia destinazione iniziale. Qui la questione si fa interessante perchè la mia destinazione iniziale era fuori da Le Trianon, in fila assieme ad un mucchio di ragazze dell'età di mia figlia (la quale figlia era lì pure lei, altrimenti il mio atto sarebbe obbiettivamente apparso ancora più bizzarro) in attesa del concerto di Jasmine.4.t e Lucy Dacus. Come sono finito lì? La farò breve. più o meno dai tempi del lockdown (no, dai, giuro, la farò breve sul serio) ho scoperto una serie di nuovi artisti di cui mi sono infatuato, in una sorta di terza o quarta giovinezza "musicofila". Ecco una succinta lista, e non mi si prenda troppo per il culo perchè - si sa - al cuor non si comanda: Idles, Billie Eilish, Sleaford Mods, Dry Cleaning, Black Country, New Road, Wet Leg, Caroline Polachek, Courtney Barnett, Coma_Cose, Madame, English Teacher, eccetera. Lo snodo cruciale di questa mia ricaduta nel fanatismo è stato però uno in particolare: incuriosito da una o due cover buttate là (tipo Black boys on moped di Sinead O'Connor) mi sono avvicinato a Phoebe Bridgers e al suo disco Punisher. Boom. Una volta superato lo straniamento dovuto al fatto dell'ascoltare con gusto musica fatta da gente-che-potrebbe-essere-mia-figlia, da Punisher sono passato al resto della discografia e al vortice delle collaborazioni. La più importante di queste ultime è senz'altro il progetto Boygenius assieme a Julien Baker e, appunto, Lucy Dacus. Il briciolo di spirito critico residuo mi consente ancora di avere contezza di cosa mi piaccia di più o di meno: per esempio, all'interno dell'universo Boygenius l'ultimo Dacus è buono ma non come i precedenti, mentre l'album di Jasmine 4.t. (una produzione del trio) mi è parso notevole e son stato ben contento di apprezzarne una buona parte dal vivo in qualità di opener. Gran bel doppio concerto, dunque: sono ovviamente emerse fra un pezzo e l'altro le recenti tematiche sociopolitiche che scuotono il nostro piccolo misero mondo e, pur condividendo in toto le posizioni espresse sopra e sotto al palco, non sono stato condizionato nel godere dell'aspetto prettamente artistico. Sarà anche il solito indie-alternative-pop-folk-rock che ascolto da sempre, ma il trasporto con cui lo interpretano le giovani generazioni scalda il cuore. E così si esce leggeri da Le Trianon, buttandosi nell'aria fresca di una Parigi appena attraversata da una tempesta, con in testa ancora il finale di Night Shift, miracoloso mantra lenitivo per cuori infranti eseguito come da prassi a chitarre sguainate e ugole oltre il muro del suono.
You got a 9 to 5, so I'll take the night shift
And I'll never see you again if I can help it
In five years I hope the songs feel like covers
Dedicated to new lovers
Lucy Dacus, "Night Shift"
domenica 6 luglio 2025
Choses à faire à Paris pendant un orage
sabato 7 giugno 2025
Sarà l'aria di Duluth
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le foto sono di Elisa Magnoni (lostingroove) |
sabato 31 maggio 2025
Graffette
I Pavement mi hanno accompagnato lungo tutti gli anni novanta. Letteralmente: li ho visti la prima volta a Cesena di supporto ai Sonic Youth nel 1992 e l'ultima volta nel 1999 al Velvet di Rimini. Detta così sembra che si stia parlando di un gruppo indie romagnolo e invece erano mmerecani fino al midollo, tant'è che all'inizio li avevo sottovalutati nonostante l'hype ("Ma dài, 'sta roba l'hanno già fatta i Velvet Underground venticinque anni fa!"). Poi, però, mi sono arrivate LE CANZONI, da Summer babe a Here, da Cut your hair a Range life, eccetera, eccetera. Da alfieri inizialmente del cosiddetto lo-fi (movimento fondamentale ma che ha generato anche un bel po' di munnezza non riciclabile) ad ultimi rappresentanti del rock delle origini - sì, compresi gli assoli di chitarra, caricaturali e parossistici ma allo stesso tempo genuini e carichi a balestra. E poi ovviamente il cantato di Stephen Malkmus, sempre sul punto di prenderti per il culo e invece pieno di sincero trasporto emotivo, in grado di farti ridere e piangere allo stesso tempo. Li ho vissuti con nostalgia in tempo reale, non so se riuscirò a spiegare la cosa decentemente: ha a che fare un po' con ragioni mie anagrafiche (la fin troppo lunga adolescenza stava volgendo al termine) e un po' perchè anche loro, secondo me, si rendevano ben conto di incarnare la fine di un mondo: quello pre-internet, pre-social, in cui tutto pareva più semplice, più netto, con un orizzonte ben visibile nella sua limitatezza (sarò banale, ma mi sembrava un mondo molto sovrapponibile a quello di "The Truman Show", altro caposaldo della cultura pop fine novanta). Ci si apprestava a cambiare pelle, insomma, senza sapere cosa si sarebbe diventati: ora che lo sappiamo, aneliamo disperatamente al tornare indietro fino ad una presunta innocenza perduta (spoiler: non è mai esistita). Così, in questi tempi confusi, sono tornati persino i Pavement: col meta-film "Pavements" e nel riflusso della rete con b-sides diventate inaspettatamente virali (Harness your hopes). In realtà - si può dire? - non se ne erano mai andati, come tutto ciò a cui ci si aggrappa (inutilmente) dentro al vorticante tornado in cui ci è dato di vivere. Ah, da qualche parte ho ancora una delle graffette che il loro primo batterista (l'indimenticato Gary Young) distribuiva all'ingresso dei concerti: forse lui aveva proprio capito tutto e prima o poi - chissà - quella graffetta finirà col salvarmi la pelle.
lunedì 30 dicembre 2024
Tre per otto ventiquattro
Primi
Kim Deal - Nobody Loves You More
Billie Eilish - HIT ME HARD AND SOFT
English Teacher - This Could Be Texas
Beth Gibbons - Lives Outgrown
Marika Hackman - Big Sigh
Margaux - Inside The Marble
The Cure - Songs Of A Lost World
Vampire Weekend - Only God Was Above Us
Secondi
Katie Gavin - What A Relief
Kim Gordon - The Collective
Il Sogno Del Marinaio - Terzo
Alan Sparhawk - White Roses, My God
The Hard Quartet - The Hard Quartet
The Smile - Wall Of Eyes + Cutouts
Underworld - Strawberry Hotel
Nilufer Yanya - My Method Actor
Contorni
Idles - TANGK
King Hannah - Big Swimmer
Lambrini Girls - You're Welcome
Melt Banana - 3+5
O. - Weirdos
Pixies - The Night The Zombies Came
Pylon Reenactment Society - Magnet Factory
X - Smoke & Fiction
giovedì 26 dicembre 2024
Scatole
domenica 24 novembre 2024
Sotto l'ala di Baracca
martedì 19 novembre 2024
Dischi importanti: Violent Femmes - Halloweed ground
Corri, corri, corri, poi ogni tanto ti fermi un attimo e dici: ecco. Ecco il senso, ecco il big bang, ecco perchè. È che ci si scorda, tutto qua. Troppa roba per la testa e troppo poca testa per tutta la roba. Vieni a sapere che Halloweed ground ha quarant'anni e dici no, dai, non scherziamo. E ti torna in mente tutto. Che poi non è che sia questo gran che. Cioè, no, non dico che Halloweed ground non sia fondamentale, dico solo che, nel grande schema dell'universo, l'epifanico effetto che ha avuto su di me questo disco dei Violent Femmes (quei tizi di Milwaukee che hanno elevato il buskeraggio ad avanguardia) è sicuramente irrilevante. Del resto, questo si può affermare a proposito di parecchie cose. Però: la somma di un fantastiliardo di cose irrilevanti non potrebbe dare come risultato una - seppur infinitesimale - cosa rilevante? Chi lo sa. Magari è proprio così, e la sezione di Black girls in cui succede di tutto (dallo scacciapensieri ai giocattoli, con John Zorn a briglia sciolta) non potrebbe essere stata determinante nel forgiare le meraviglie del creato? Boh, vabbè, a me ha cambiato la vita. Sì, lo so, lo dico di tante cose, va bene, sono stato fortunato. In un momento in cui una delle mie varie stelle polari (chi ha detto che ce ne debba essere una sola?) era l'ammerika “alternativa”, questi arrivavano cantando inni cristianeggianti à-la-punk (Jesus walking on the water) e donavano una sfumatura epica al cuore nero della campagna in miseria (Country death song). L'energia emanata è talmente contagiosa che te ne freghi di quello che canta quel mattacchione di Gordon Gano: ha comunque ragione lui. Per farmi del male ho cercato sul web recensioni, impressioni ed elucubrazioni su Halloweed Ground e ho trovato di tutto: viene definito “divisivo”, “capolavoro”, “razzista”, “meglio del primo”, “peggio del primo” e via sproloquiando. A un bel momento non ci ho capito più niente e ho fatto l'unica cosa sensata: l'ho riascoltato. Scrivere di musica è come ballare di architettura, no? Perfetto. Fin troppe volte ci si fa intortare (me compreso, ovvio) da parole, accostamenti, carriole di hype. Per tutti c'è stato un tempo in cui le cose succedevano e basta (indicativamente in gioventù) e quel tempo ce lo si porta dietro fino alla fine. C'è chi si ferma lì senza accorgersi di essere un inguaribile nostalgico. C'è chi rinnega tutto “perchè bisogna andare avanti”. C'è chi continua a cercare le stesse sensazioni, a volte invano e a volte no. Fatto sta che - e ora bisogna che stringa perchè non so più dove voglio arrivare - una delle sei-sette canzoni che ogni tanto mi vengono inconsapevolmente in mente tormentone-style è un pezzo di Halloweed Ground: I know it's true but i'm sorry to say. Non so perchè e son contento di non saperlo: per amor di statistica, tra le altre ci sono Just like heaven (Cure), Talk about the passion (R.E.M.), Reel around the fountain (Smiths) e, insomma, i conti pur inconsciamente tornano. E adesso chiedo scusa ma riprendo l'ascolto, prima che sia troppo tardi.