lunedì 21 febbraio 2011

This time for Africa

(banale, ma spontaneo)

venerdì 18 febbraio 2011

Roba forte

Mi sento come Timothy Leary quando faceva gli acid test. Mi spiego meglio. L'altro giorno, preso dalla nostalgia (per i bei tempi sonori che furono) e dal rimorso (per la mole di musica scaricata a sbafo nei due ultimi lustri) ho fatto una mattana e ho acquistato il nuovo Radiohead, The king of limbs. Ovviamente sto parlando di un acquisto virtuale (con soldi reali) per ottenere un download che avrei facilmente raccattato gratis. Oltretutto, i Radiohead non rappresentano certo i classici artisti a rischio di sopravvivenza (e quindi da sostenere economicamente), però, dài, dovevo pure cominciare da qualche parte. Oh, va detto che i Radiohead mi piacciono. A parte i classici degli anni novanta ho apprezzato molto roba come Kid A, uno degli ultimi dischi coraggiosi ad opera di un gruppo strafamoso atteso al varco. Torniamo a noi: giunto finalmente in possesso dei miei files wav, me li sono masterizzati e buttati su cd. Non essendoci le condizioni per un ascolto rumoroso (casalinga serata di febbraio con famiglia pronta a infilarsi sotto le coperte) ho optato per divano e cuffie. Attenzione, però: in casa si stava guardando in tv il festival di Sanremo, famosa manifestazione nazional-popolare italica a base di fiori, canzoni e réclame. La combinazione tra ciò che hanno udito le mie orecchie e ciò che hanno veduto i miei occhi è stata micidiale: mentre scorrevano i suoni stranianti dell'ennesimo spiazzamento di Yorke e soci ho visto l'impossibile. Giannimorandirobertdeniroalbanodashlavapiùbiancolapfmquelladeitelefoniniequellaltrachevacongeorgeclooneyitakethatriformatimancofosseroibeatlesqueiduelìchefannoicomicivandesfrooslafigliadizuccherolabelluccimicheleplacidovecchionifioriautomobilivioliniquellideitalentshow poi il disco finisce, e mi chiedo cosa diranno quelli che dall'estero beccano Sanremo col satellitare. Un po' come noi, che ridiamo dell'entertainment polacco, turco o cinese senza renderci conto di che razza di roba abbiamo qua, in questo bel paese delle meraviglie dove succede di tutto ma siamo in preda ad un'amnesia che azzera ogni giorno per ricominciare da capo, e va tutto bene. Anzi, benissimo. Ah, a proposito: non fate come me, dite no alla droga.

lunedì 14 febbraio 2011

Cruel nature has won again

Ricordo ancora con piacere l'annichilimento che provai al primo ascolto di Rid of me, nell'ormai lontano 1993. Polly Jean Harvey era una bestia, faceva un casino che mai. Un grunge all'inglese, diciamo così. Nel corso degli anni le cose sono cambiate varie volte, i suoi dischi hanno vissuto un alternarsi di umori e risultati, conservando a mio parere una fondamentale onestà di fondo. Belle le contaminazioni dark-electro di To bring you my love, un po' meno l'indie rock di maniera di Stories from the city, stories from the sea, ma tant'è. Si giunge ai giorni nostri dopo la svolta intimista di White Chalk, che nel 2007 ha visto la ex-ragazza giungere alla (inaspettata?) maturità. Quel disco lì ha gettato i semi per l'ultimo Let England Shake, una roba ancora da digerire ma che sull'onda dell'emozione pare veramente il suo disco della vita. Un "concept" sulle sanguinose guerre del passato e sulla decaduta Albione, capace comunque di suscitare sentimenti universali e di risvegliare quella natura a volte sicuramente crudele ma di cui tutti facciamo parte, nel bene e nel male. Certo, era più facile ammirare la Polly incazzata che imbracciava l'elettrica strillando di sangue e di mostri, che la signora con l'autoharp che ci canta di ... beh, di sangue e di mostri. Vedi mo', che le cose non cambiano poi tanto. Chissà cosa avrebbe detto il vecchio Peel!

martedì 1 febbraio 2011

Rivoluzione (punto secondo)

Quando la pianterò di voler sempre avere l'ultima parola?

Eh?

Lo so, non lo faccio apposta, però è pesante.

Dico sul serio.

Basta.

Stop.

No, dài, stavolta basta davvero.

Non si può andare avanti così.

E' una cosa insopportabile.

Basta.

No, davvero, dài, va là.

(continua)