venerdì 23 ottobre 2009

Pezzo giusto, velocità sbagliata

L'autunno è già di per sè una stagione malinconica, quindi non ci sarebbe bisogno di intristirsi uleriormente. Però se penso che il 25 ottobre fanno cinque anni esatti dalla prematura dipartita di John Peel non posso esimermi dal ricordarlo con due righe. Cinque anni non son tanti ma pare un'eternità. Le sue trasmissioni mi mancano molto, erano un punto di riferimento non indifferente. Dove lo trovo qualcuno che mescola con tanta insana passione punk, new wave, indie, dub, country, rock'n'roll, elettronica pestona e chi più ne ha più ne metta? Sì, perchè siam buoni tutti a mettere insieme una bella compilation "varia" per vedere di nascosto l'effetto che fa, ma non è facile raggiungere la qualità media delle proposte di Peel. Che a mio parere era alta. Ovvio che i gusti son gusti e il tipo in questione era una vecchia volpe e ci sapeva fare, ma riusciva sempre a trovare qualcuno che valesse la pena di sponsorizzare. La caratteristica principale per essere inserito in un suo programma, oltre al fatto di piacergli (e non è poco, considerate tutte le radio veline che ci siamo sorbìti nei nostri lunghi anni da musicofìli) era senz'altro la sincerità della proposta, accompagnata logicamente dal valore di fondo della stessa. A metà degli anni settanta J.P. si è messo contro gran parte dei suoi ascoltatori della BBC inserendo sempre più il punk e la new wave a discapito dell'ormai ammuffito rock dell'epoca. Certo, quello del punk/buono e rock-anni-settanta/cattivo è un luogo comune non sempre condivisibile, ma è innegabile che chi cercava nella musica "popular" una bandiera culturale da sventolare contro il sempre incombente letargo delle coscienze non poteva che volgere lo sguardo al nuovo che stava prepotentemente avanzando. Nel corso del tempo quest'uomo ha dato un fondamentale contributo al consolidamento di realtà quali Smiths, Pixies, Joy Division, White Stripes, PJ Harvey, Capt. Beefheart, Pink Floyd, Sex Pistols, Clash, Fall, Siouxsie, Napalm Death, Nirvana, Bowie, Cure e molti altri ancora.
Certo, metteva spesso su i dischi techno e reggae alla velocità sbagliata e tifava in maniera patologica per il Liverpool FC, ma in fondo nessuno è perfetto. Anzi, mi sa che è proprio questo il punto.

lunedì 12 ottobre 2009

Elogio a Jojo


Mi accingo a tentare di compiere un'impresa improba: scrivere qualcosa a proposito di Jonathan Richman senza farmi trascinare nel Mondo Delle Iperboli a causa della mia smisurata ammirazione per la sua arte. So già che non ce la farò mai.

Cosa dicono di lui? Che è il "padrino" del punk (inteso come genere musicale). Mi permetto di approfondire la questione. La prima fase della sua carriera (fine anni '60 - inizio '70) è caratterizzata dall'attività con gli originali Modern Lovers, fautori di una sorta di garage-art rock semplice-semplice che in effetti ha molti punti di contatto con il punk, soprattutto a livello di attitudine: la sostanza prende il sopravvento sulla forma, anche se le due cose in casi come questi coincidono quasi perfettamente. Nei Modern Lovers non è comunque presente la componente più aggressiva e oltraggiosa del cosiddetto punk "storico", cioè l'aspetto che più di ogni altro ha codificato il genere negli anni a venire fino a diventare macchietta d'avanspettacolo: creste, spille, sguaiatezza molesta e via dicendo. Le tematiche delle canzoni sono esistenzial-adolescenziali, perennemente in bilico tra naiveté e spiazzante sincerità. La principale influenza di Richman in quegli anni erano i Velvet Underground, e si sente. Simbolo di questa fase è il pezzo Roadrunner, composto da due accordi e da un testo basato sui viaggi in automobile lungo le superstrade attorno alla natìa Boston con la radio sempre accesa. E' una canzone universale. Ci si potrebbe tranquillamente fermare qui, e in effetti sono in molti ad averlo fatto: Jonathan Richman verrà perennemente ricordato per Roadrunner, e non c'è niente da eccepire.

Quando Roadrunner diventa famosa, i primi Modern Lovers sono già praticamente sciolti e il nostro eroe ha imboccato una direzione differente. Comincia a preferire la chitarra acustica a quella elettrica, abbassa il volume delle sue esibizioni e partorisce una serie di canzoni surreali che potrebbero superficialmente essere definite "per bambini" ma che invece costituiscono il fondamento su cui si baserà l'artista Richman per tutti gli anni a venire. Canzoncine fatte di pochi strumenti, coretti sognanti e battimani al punto giusto, filastrocche con protagonisti gelatai (Ice Cream Man), piccoli aeroplani, piccoli dinosauri, piccoli kookenhaken (???), abominevoli uomini delle nevi al supermercato e così via. Ah, e poi brani strumentali con un sapore etnico da cartolina come la celeberrima Egyptian Reggae, che arrivò fino al quinto posto nelle classifiche inglesi nell'incendiario 1977. Il disco "Moden Lovers Live" racconta in maniera succinta ma esaustiva tutta questa faccenda e per quel che mi riguarda è il capolavoro di Jonathan Richman.

Da qui in avanti ci sono molti dischi, molti concerti e molte altre canzoni, alcune memorabili e altre meno. Fra le prime segnalo gli affezionati tributi a Vincent Van Gogh, alla Fender Stratocaster, ai Velvet Underground e I Was Dancing In The Lesbian Bar, quest'ultima eterno cavallo di battaglia dal vivo con tanto di balletti e ancheggiamenti. Lo stile si è consolidato in una sorta di ibrido delle prime due fasi di carriera; i soggetti delle canzoni si fanno a volte più seri ma l'esposizione resta estremamente minimale. Negli ultimi anni Jonathan Richman ha trovato una controparte perfetta nel batterista Tommy Larkins, con il quale registra e si esibisce in giro per il mondo. Sono sempre più presenti nel suo repertorio canzoni in francese, spagnolo e addirittura italiano (come l'incredibile Così Veloce). Oramai è diventato un entertainer a tutto tondo: i concerti sono veri e propri spettacoli con numerosi monologhi, primitivi assoli di chitarra tra il latineggiante e il surf e un'abbondante dose dei succitati balli figurativi.

Richman è in grado di mettere in risalto (come pochi altri) i piccoli, insignificanti particolari che rendono la vita degli esseri umani degna di essere vissuta. Il suo apparente autolesionismo lo spinge, in un mondo di calcolati professionisti, a perseverare nell'incoscienza dei dilettanti, mille volte più creativa e spesso geniale. Pare un perdente alla Wile E. Coyote ma è capace di liberatorie fughe alla (ehm) Roadrunner. Qualche anno fa al Bloom di Mezzago (MI) il pubblico implorava un bis: Jojo, invece di offrire uno dei suoi numerosi classici, se ne uscì con una versione a cappella de La Donna Riccia di Domenico Modugno. E per l'ennesima voltà spiazzò il mondo.

Tour italiano 2009:

Mercoledì 21 Ottobre, La Casa 139, Milano

Venerdì 23 Ottobre, Suoneria della musica, Settimo Torinese, Torino

Sabato 24 Ottobre, Bronson, Madonna Dell'Albero, Ravenna

Domenica 25 Ottobre, Big Mama, Roma